13 La "Collezione Valentino Martinelli": dalla casa al museo
Francesco Federico Mancini
31 Una vita di studio
Daniela Gallavotti Cavallero
37 Valentino Martinelli e la scultura barocca romana.
Le ragioni di un collezionista
Elena Bianca Di Gioia
47 Valentino Martinelli e il restauro
Carlo Stefano Salerno
Catalogo
57 Dipinti
69 Sculture
123 Disegni
135 Incisioni
163 Medaglie
175 Medaglioni
181 Oggetti di culto
Apparati
187 Bibliografia
196 Indice dei nomi e dei luoghi
204 Indice iconografico
205 Indice degli artisti e delle manifatture
La “Collezione Valentino Martinelli”: dalla casa al museo
Francesco Federico Mancini
"Chi ha una raccolta di quadri, antichi e moderni, piccola o grande che
sia - scriveva Valentino Martinelli nel 1964, recensendo una mostra di grafica
allestita nella Galleria Battaglia di Roma - ricorda con emozione il giorno
della prima conquista, fatta con passione e con timore insieme: un disegno a
penna o a carbone, a sanguigna o a colori. Un foglio di carta di pochi centimetri
ma autentico, di un autore, di un artista per cui si sente una simpatia particolare,
una consonanza spirituale, per cui si compie il ‘sacrificio’ finanziario,
si impegna per la prima volta una piccola cifra per possederlo, per averlo vicino,
in casa, per sempre. E poi viene il desiderio di qualche altro disegno, di qualche
stampa e poi ancora delle pitture a olio e delle sculture che richiedono, oltre
che maggiori possibilità finanziarie, un ambiente idoneo, una preparazione
culturale, se non una competenza specifica. Così si diventa collezionisti,
così si entra nel giro delle compere, delle vendite, trascinati da continue
tentazioni, occasioni, offerte, oggi più che mai abbondanti e frequenti..."
1. Queste note, dettate da chi, proprio in quegli anni, si adoperava per incrementare,
con acquisti sempre più impegnativi e selezionati, la propria collezione
d'arte, assumono il valore di una precisa testimonianza autobiografica. Più
volte Martinelli mi confessò, nel corso della nostra lunga frequentazione,
di essersi sentito trascinare dal desiderio di possedere un'opera d'arte, specie
se il reperimento della stessa gli era sembrato un segnale della sorte. Trovava
incredibile che un oggetto d'arte, rimasto per lungo tempo nell'ombra, reclamasse
d'improvviso l’incontro con chi lo avrebbe "riscoperto", restituendolo
alla pienezza della luce. Fu così che Martinelli, assecondando quello
che lui stesso considerava un misterioso e inspiegabile "tropismo positivo",
entrò in possesso di molte, importanti opere. Lentamente mise insieme
una prestigiosa collezione, rappresentativa dei principali filoni di studio
da lui coltivati. Tale aspetto non va sottovalutato se vogliamo comprendere
nei giusti termini l’azione collezionistica di Martinelli il quale - è
bene sottolinearlo - non acquisì mai opere e oggetti per soddisfare il
piacere di un accumulo onnicomprensivo e generico (per non dire "di arredamento")
ma operò scelte e selezioni in tutto coincidenti coi suoi interessi di
studio 2. Il momento collezionistico era sempre per Martinelli l'inizio di un
emozionante percorso di ricerca, portato avanti con metodico impegno e incessante
entusiasmo. Ricordo con piacere e gratitudine (si trattava, in fin dei conti,
di straordinarie, irripetibili lezioni di metodo) le sue pacate e profonde discussioni
intorno a quadri, sculture e disegni sapientemente distribuiti in ogni stanza
della sua casa romana; casa che aveva il fascino di uno stimolante "laboratorio"
dove era possibile avvicinare le opere d'arte fino a toccarle o a prenderle
tra le mani per saggiarne il peso e la consistenza, per valutarne aspetti e
caratteristiche non facilmente apprezzabili a distanza. Martinelli ne era lieto,
anzi incoraggiava i suoi ospiti ad avere un contatto fisico con le opere, ben
sapendo che uno studio "ravvicinato" era di fondamentale importanza
per formulare un serio e motivato giudizio di qualità. Gli piaceva conoscere
il parere degli altri, apprezzava la sincerità dei suoi interlocutori,
non temeva opinioni diverse dalle sue, anzi era lieto di aprire un amichevole
contraddittorio con persone che godevano della sua stima scientifica; era pronto
a mettere in discussione le proprie idee se riconosceva la fondatezza di pareri
non collimanti coi suoi. Meravigliosa cornice di queste lunghe e garbate discussioni,
che spesso si protraevano fino a notte inoltrata, era proprio la casa-museo
di via del Banco di Santo Spirito, perfetta proiezione della personalità
di Martinelli che amava avere con l’arte un rapporto non solo teorico.
Nella testimonianza di Carlo
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Stefano Salerno, pubblicata in questo stesso volume, leggiamo che il professore,
ponendosi di fronte a una o più sculture della sua collezione, rifletteva
a lungo sui metodi di lavoro e sui procedimenti tecnici adottati nelle botteghe
barocche, sulla funzione dei modelli, sulle tecniche di fusione, sulla politura
dei marmi, sull'uso dei "legnetti", sulla rinettatura dei bron¬
zi. "Era questo - scrive Salerno - un modo per entrare più da vicino
nelle botteghe degli artisti, per cogliere i criteri adottati nella organizzazione
e nella divisione del lavoro, per valutare la presenza degli allievi o della
scuola" 3. L’interesse di Martinelli per gli aspetti materici, costituitivi
dell’opera d'arte non era mai subordinato alla critica delle forme o all'analisi
degli stili. Possiamo citare, a titolo di esempio, il passo di un articolo del
1987, dedicato all'oggetto più prestigioso della sua collezione, il "Cristo
ligato" di Gian Lorenzo Bernini. "Da tempo ho segnalato quale cosa
inedita una scultura che da circa venti anni, per varie ragioni ho tenuto come
in serbo, segnalandola agli amici, o esaminadola insieme ad alcuni studiosi
fra i più qualificati colleghi, italiani e stranieri. I loro pareri mi
hanno convinto che è questo il momento migliore per presentarla agli
studiosi per un esame critico obiettivo, per una valutazione serena [...]. La
terracotta, alta circa cm. 42, è di una fattura più che "finita"
e in buone condizioni (nel 1980 una semplice pulitura è stata compiuta
con molta cura da Eliseo Zorzetto dell'Istituto Centrale del Restauro di Roma).
Rappresenta un Cristo seduto, ma senza colonna; si potrebbe quindi dire meglio
che Cristo legato, con le mani strette da una cordicella, seduto su un cippo
sagomato collocato ad angolo, con lo spigolo sporgente tra le gambe divaricate,
ruvido come un basamento marmoreo, gradinato, in bel contrasto con il morbidissimo
modellato del corpo. La superficie scabra di quel cippo d'angolo è resa
in terracotta con l'uso tipicamente berniniano della stecca dentata all'esterno
(come pure nel retro, all’interno), sì da simulare con rigature
parallele la roccia marmorea gradinata; nel caso specifico, implicitamente,
simbolo per il credente di Gesù roccia-sostegno e della 'pietra angolare'
fondamento della Chiesa di Cristo (in piena analogia con la pietra tombale della
Deposizione caravaggesca, allora alla Chiesa Nuova) [...]. È un'opera
compiuta e complessa nella varietà dei punti di vista, cioè nella
pluralità delle vedute, concepita secondo la maniera berniniana di un
rap¬ porto dialettico tra le membra tornite della figura serpentinata e
il giro ampio del panneggio; bellissimo è il mantello dalle pieghe fonde,
dagli occhielli larghi, con chiazze di luce e ombra e giochi raffinati di colore
(la terracotta presentava anche una coloritura, se non originale certamente
molto antica, che non è stata rimossa ma lasciata in quelle poche parti
in cui ancora sussiste)"4. L'analisi stilistico-formale non è disgiunta,
come si vede, da un attento studio degli aspetti tecnici e materiali, ritenuti
giustamente da Martinelli parte integrante del momento creativo. La messa a
punto di questo metodo di lavoro, coerentemente applicato nei suoi innumerevoli
scritti, appare già in un articolo del 1950 dove lo studioso, per sostenere
l'attribuzione al Sacchi di una tela conservata in Palazzo Barberini a Roma,
fa ricorso alle seguenti argomentazioni: "... A questa del Bernini fa da
'pendant' una tela simile, purtroppo in cattivo stato di conservazione, con
due teste di santi, S. Antonio abate e S. Francesco, anch'essa rimasta sinora
sconosciuta a Palazzo Barberini e che, a colpo d'occhio, appare come una delle
cose più tipiche del Sacchi. Un'osservazione diretta dei dipinti dimostra
immediatamente e con piena evidenza che le due pitture, nonostante le affinità,
sono sostanzialmente ben differenti l'una dall’altra: diverse sono le
tele - dalla grana grossa e rilevata quella del Bernini, dalla tessitura minuta
e compatta l’altra - diversa ne è la preparazione e soprattutto,
per non scendere ad altri particolari, la coloritura: nella prima predomina
una intonazione rossiccia, mentre nella seconda è invece diffusa una
tonalità più spenta sul giallo-bruno. La testa del S. Antonio
(quella di S. Francesco è in gran parte e più dell'altra appiattita
dalle ossidature della vernice e offesa dalle cadute del colore), che risalta
sul fondo scuro, è di una squadratura formale consueta al Sacchi, fatta
di un sottile articolarsi del colore, che pur costruendo solide forme definisce
i particolari con pittorica libertà ..."5.
Ancora più esplicito è il passo in cui Martinelli, per assegnare
definitivamente al Bernini il dipinto raffigurante gli apostoli Andrea e Tommaso,
anch'esso in Palazzo Barberini, istituisce un confronto con il ritratto giovanile
della Galleria Borghese: "Ma un confronto utile sarà quello tra
il S. Tommaso e il Ritratto giovanile della Borghese, attribuito, non senza
dub¬ bio, al Bernini. In ambedue le teste attraggono sotto la fronte spaziosa
e luminosa, da cui si stacca il naso lievemente ricurvo, i due occhi fortemente
espressivi su cui si apre l'ampio arco delle sottili sopracciglia. Simili sono
gli zigomi un poco sporgenti e il morbido affinarsi delle guance presso la bocca
e le labbra umide appena schiuse al respiro, come la folta massa di capelli
castani aggruppati in mosse ciocche falcate fin sopra le orecchie. Nelle due
teste che risaltano su fondo scuro (verde cupo nel-l’ Autoritratto e grigio
ferro nel S. Tommaso), la fattura dei piani facciali è affidata a pennellate
brevi e avvolgenti di un rosa giallo nel l'incarnato, più fitte e dense
(ma non da impedire che si scorga qua e là la grossa grana della tela)
di un bianco avorio sulla fronte e lungo il dorso del naso, fin sulla punta
toccata da più vivace macchia di colore. Lievi ombre grigiastre si addensano
invece nella cavità delle orbite, sfumando lungo la parete del naso,
nelle nari, per farsi ancora più morbide intorno alle mascelle e al collo,
sì che le due teste sembrano emergere improvvise dalla penombra: quella
del Bernini con lo sguardo squillante, come il bianco bulbo dei suoi occhi;
quella del S. Tommaso invece con le labbra semiaperte in un respiro affannoso,
gli occhi torbidi, stanchi, carichi di troppi dubbi tormentosi, nell’ansia
di verità e di pace”6.
Che Martinelli considerasse fondamentale non limitare l’esame delle opere
al solo aspetto esteriore, trovando metodologicamente improprio prescindere
da un approfondito e diretto contatto con gli oggetti, appare chiaro dallo spoglio
di alcuni dossier tuttora conservati negli scaffali del suo studio romano. Tali
dossier,recentemente riordinati da Francesca Galante Martinelli, che si è
prodigata per rendere consultabile il prezioso archivio del marito, riuniscono
appunti, lettere di studiosi, ricostruzioni grafiche, relazioni di restauro
e risultati di esami diagnostici relativi a sculture e dipinti studiati da Martinelli
in un vasto arco cronologico.
(.........................................................)
Alla fine degli anni Ottanta il professore cominciò a pensare al futuro
della sua collezione. Era solito affrontare l'argomento nel rilassante contesto
estivo dell'hotel Michelangelo di Chianciano Terme, dove ogni anno si rifugiava
per trovare concentrazione e ristoro. Più volte, nell'ombra del parco
che le resine dei pini rendevano profumata, mi parlò dei progetti che
aveva in mente, chiedendomi consigli e invitandomi a pensare. Dovetti prendere
atto che non si trattava di un semplice "pour parler", quando un giorno
mi annunciò, con solennità mista a commozione, di voler donare,
alla sua morte, gli oggetti migliori della sua collezione a una pubblica istituzione
che sapesse amarli e apprezzarli come lui aveva fatto in vita. Gli chiesi con
qualche esitazione, considerando lontana tale eventualità, quale fosse,
a suo parere, l'istituzione più adatta a raccogliere l’importante
lascito. con sorpresa mi sentii rispondere che il suo gesto voleva assomi gliare
a quello di Consilia Pascoli. Capii immediatamente il senso della risposta,
visto che, proprio in quei giorni, dovendo occuparmi della pinacoteca di Deruta,
ero alle prese col testamento di Consilia. Ultima erede della famiglia che aveva
dato i natali all'illustre collezionista e storiografo d'arte Lione Pascoli
(Perugia 1674 - Roma 1744), essa aveva stabilito (1931) che la sua importante
collezione d'arte, costituita da una quarantina di pezzi fra cui opere di guido
Reni, Baciccio,Trevisani,Van Bloemen "Stendardo", Ciccio Napoletano,
Sebastiano Conca, Marco Benefial, Giovanni Paolo Panini, Antonio Amorosi, Placido
Costanzi e Cristofero Gasperi, passasse al comune di Deruta a due sole condizioni:
che le venisse riconosciuta, vita natural durante, una pensione annua di 1200
lire e che le fosse assegnato un loculo nel camposanto cittadino"23. Il
gesto di Consilia, disposta a cedere la sua importante raccolta in cambio di
un risarcimento simbolico, ma soprattutto a patto che il comune di Deruta provvedesse
alla conservazione delle opere a lei appartenute "con tutte quelle precauzioni
che sono richieste per la tutela e la salvaguardia del patrimonio artistico
nazionale", era il modello su cui martinelli aveva a lungo riflettuto.
Conosceva perfettamente, per essersi occupato di Lione Pascoli scrittore d'arte
(è appena il caso di ricordare le edizioni critiche, da lui promosse
e coordinate, delle Vite de' pittori scultori ed architetti viventi e delle
Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni24), la pinacoteca di Deruta
e i quadri, di provenienza pascoliana, in essa conservati. Trovava che il suo
spirito collezionistico avesse forti affinità con quello dell'abate perugino
e condivideva pienamente ciò che io avevo scritto nell’ introduzione
al catalogo della pinacoteca di Deruta: "... Una conferma della consapevolezza
con cui il Pascoli elabora le proprie idee viene proprio dall’ esame della
sua collezione, costruita con criteri assolutamente rispondenti alle sue convi-zioni
teoriche ..."25. Mi resi conto che Martinelli aveva concretamente va lutato
la possibilità di donare la sua collezione al comune di Deruta quando
mi chiese di invitare il sindaco della cittadina umbra alla presentazione dell'edizione
critica delle Vite de'pittori, scultori ed architetti moderni, straordinario
lavoro di gruppo che aveva riunito gli sforzi di tutti coloro che erano stati
suoi allievi o che avevano approfittato, a vario titolo, della sua ampia e generosa
competenza scientifica. Teneva molto a questo lavo ro, che nasceva dalla fatica
congiunta di ben quarantaquattro studiosi i quali, essendosi formati con lui
o accanto a lui, avevano assimilato il suo rigoroso metodo di ricerca e la sua
fine sensibilità critica26. "Ringrazio af fettuosamente tutti -
scrisse Martinelli nell’intervento introduttivo - i cari colleghi ed amici
delle Università di Roma, di Perugia e di Messina, per la tanto gradita
partecipazione. E mi rallegro con i giovani studiosi, a me più vicini,
per l'intesa solidale e la cura rigorosa bene attuate nella realizzazione di
quest’ opera veramente collegiale, se non di scuola. Sono loro che mi
accompagnano da tanti anni, nel lungo arco della mia vita universitaria, sempre
con amichevole fervore per le nuove ricerche, per nuove pub blicazioni su opere
e artisti, su valori e significati dell’'universo barocco', del quale
Lione Pascoli fra Perugia e Roma fu nel primo Settecento testimone e interprete
illuminato"27. I successivi contatti con l'amministrazione comunale di
Deruta, lieta di dare al progetto tutto il sostegno necessario, convinsero il
professore a muoversi in tal senso. Cosi, nella prima redazione testamentaria,
stilata il 16 maggio 1994, stabili che le opere d'arte della sua collezione
fossero "in tutto o in parte destinate, come 'fondo V. Martinelli', in
una sala attigua al 'fondo L. Pascoli', della costituenda pinacoteca della città
di Deruta in Umbria; in collegamento, se possibile, in forma da stabilire, con
l'Istituto di Storia dell'Arte e la Facoltà di Lettere dell'Università
di Perugia". In cambio chiedeva "un importo, sia pure ridotto, da
destinare ad un atto di assistenza e beneficenza [...] anche nell'ambito della
stessa struttura cittadina, con soddisfazione e utilità comuni";
chiedeva inoltre garanzie affinchè le opere donate fossero "protette
dai consueti vincoli di buona sistemazione, tutela, libera visita e catalogo
a stampa". Nei mesi che seguirono Martinelli tornò più volte
sull'argomento, sottoponendomi dubbi e perplessità. La scelta di escludere
dal lascito enti o istituzioni romane era scaturita dalla riflessione che una
grande realtà, come quella di Roma, avrebbe accolto senza grandi emozioni
il munifico gesto; sarebbe stata - mi diceva - "una goccia nel mare".
La decisione di trasferire la raccolta in un piccolo centro offriva invece,
a suo parere, tutte le garanzie perché la cosa acquistasse diversa "visibilità"
e utilità; mi confessò, tuttavia, di non riuscire a superare il
timore che una collocazione decentrata avrebbe potuto limitare la fruizione
e le potenzialità didattico-formative della sua raccolta: aspetto, questo,
che era in testa ai suoi pensieri e che apparteneva alla sua etica di docente
sempre pronto a favorire e a stimolare la crescita culturale dei giovani. Fu
cosi che abbandonò, sia pure a malincuore, il proposito di destinare
la collezione alla pinacoteca comunale di Deruta. Ci consigliammo su altre possibili
soluzioni, vagliammo diverse ipotesi, prendemmo nuovi contatti. Quando Martinelli
venne a sapere che il comune di Perugia stava lavorando per trasformare Palazzo
della Penna in un dinamico polo espositivo connesso con il sistema museale umbro
mi chiese di approfondire la questione e di valutare se i progetti, che un'apposita
commissione era in procinto di varare, potessero tener conto della sua proposta.
L'amministrazione comunale di Perugia si affrettò a rispondere che l'idea
non solo era compatibile con la prospettiva di fare del palazzo un centro aggregativo
di rilevanti "eventi culturali", ma anche con l'aspirazione di restituire
all’edificio, che fino al 1875 aveva accolto una delle più grandi
e prestigiose raccolte d'arte della città, una dimensione prevalentemente
espositiva. Tale consapevolezza era maturata anche a seguito dello studio che
un gruppo di lavoro, coordinato da Enrico Guidoni, dell'Università di
Roma, e dal sottoscritto, aveva effettuato sul palazzo, evidenziando l’importante
ruolo politico, sociale e culturale svolto dalla famiglia della Penna nella
storia perugina del tardo Settecento e del primo Ottocento. In quella occasione
era stato effettuato anche uno studio sulla storica collezione dei della Penna,
collezione che, stando a un inventario del 1826, redatto dal grande intenditore
d'arte Jean Baptiste Wicar, comprendeva, fra l'altro, opere di Giorgione, Tiziano,
Dossi, Barocci, Zuccari, Carracci, Guercino, Salvator Rosa, oltre a una splendida
tavola del Perugino acquistata dal barone Fabrizio della Penna nel 1821, ma
purtroppo venduta dagli eredi, nonostante il vincolo di ina¬ lienabilità,
nel 1878 (oggi si trova nella National Gallery di Londra). Tutto questo per
dire che la proposta di Martinelli andò a "incastrarsi", senza
alcuna forzatura, nei progetti dell'amministrazione comunale; tanto che nelle
pagine introduttive al volume su Palazzo della Penna, pubblicato nel settembre
1999 per rendere noti i risultati della ricerca, Guidoni e io scrivemmo: "...
Se abbiamo insistito nella ricostruzione di questa vicenda collezionistica è
perché auspichiamo che Palazzo della Penna torni a svolgere la funzione
di attivo polo culturale della città, divenendo sede di un museo o, ancora
meglio, di un 'palazzo della cultura', in grado di accogliere opere in esposizione
permanente, mostre finalizzate alla migliore conoscenza del patrimonio artistico
cittadino, manifestazioni e incontri di alto profilo culturale; una struttura
come questa, specie se modernamente organizzata e intelligentemente gestita,
potrebbe costruttivamente raccordarsi con il sistema museale regionale, mettere
a punto un sistema di relazioni capaci di sostenere insieme ricerca e didattica,
favorire la circolazione di progetti e di idee, stimolare operazioni di mecenatismo
culturale come donazioni di importanti raccolte private, garantendone la piena
visibilità e valorizzazione (va detto, a tale proposito, che in tempi
recenti non sono mancate offerte e proposte di indubbio interesse)..."
28. Mi avrebbe fatto piacere far leggere queste pagine al professore prima della
sua morte, avvenuta il 26 settembre 1999. Purtroppo non arrivai in tempo. Ero
certo che avrebbe apprezzato il nostro impegno teso a valorizzare quello che
un giorno sarebbe stato il contesto museale della sua collezione.
La decisione di trasferire i pezzi migliori della sua raccolta in Palazzo della
Penna a Perugia fu presa da Martinelli il 16 dicembre 1997: "... A modifica
totale del punto 5 - si legge in una postilla olografa al testamento - voglio
e dispongo quanto segue: tutte le opere d'arte, di cui sopra (salvo qualche
eccezione), dopo la mia morte saranno donate, quale 'Donazione della collezione
Martinelli', al Comune di Perugia (sede della mia docenza universitaria per
più di un decennio) per il Palazzo della Penna, in corso di restauro,
per una destinazione prevalentemente museale, con la consulenza scientifica
e tecnica del prof. Francesco F. Mancini o di un suo delegato...". Il buon
esito dell'operazione era sottoposto alle seguenti, vincolanti prescrizioni:
1) che venisse completato l’inventario da lui stesso iniziato; 2) che
venisse effettuata una precisa valutazione dei pezzi; 3) che entro due anni
dalla morte la collezione venisse trasferita in Palazzo della Penna ed esposta
"nel pieno rispetto delle norme di sistemazione museale" e con la
piena consapevolezza "della qualità delle opere donate e della loro
singolarità storica e tecnica, anche rispetto alle grandi raccolte pubbliche,
perugine ed umbre"; 4) che venisse pubblicato il catalogo scientifico della
collezione; 5) che il comune di Perugia istituisse una borsa di studio annuale,
a lui intitolata, "per favorire e incrementare lo studio e la ricerca nel
campo della storia dell'arte barocca". Il testamento fu pubblicato il 27
ottobre 1999: a quel punto non restava che mettere in atto le volontà
di Martinelli, il quale, con questo nobile gesto, aveva concretamente manifestato
la natura del suo legame con Perugia, città che, dal 1962 al 1975, lo
aveva visto titolare della cattedra universitaria di storia dell'arte medievale
e moderna, oltre che attivo esponente della vita intellettuale locale. Quando,
effettuati i primi adempimenti testamentari, arrivò il momento di selezionare
le opere (il professore mi aveva affidato questa delicata ma gratificante incombenza)
potei contare sulla disponibilità, generosità e finezza intellettuale
di Francesca Galante Martinelli. A lei la città deve molto per essersi
fatta interprete di tutte le volontà del marito, anche di quelle non
scritte. La sua fattiva, costante e intelligente collaborazione ha consentito
di chiudere le operazioni nei tempi, molto stretti, che Martinelli aveva giustamente
indicato. La selezione delle opere è stata fatta privilegiando il filone
collezionistico più coltivato da martinelli: quello della scultura barocca
in rapporto alla grande personalità artistica di Gian Lorenzo Bernini29.
Questo è il motivo per cui, tra le opere selezionate, non figurano, per
esempio, le due tele "caravaggesche" di cui abbiamo parlato poco sopra.
Il percorso espositivo è stato studiato cercando di ricreare, in modo
evocativo, la casa-studio di Via del Banco di Santo Spirito. avendo a disposizione
cinque sale del piano primo seminterrato (sappiamo che in antico esse accoglievano
la biblioteca dei della Penna), l’esposizione è stata concepita
nel modo seguente:
la prima sala (o biblioteca) riunisce i circa mille volumi di arte del sei e
settecento che Martinelli ha voluto donare per potenziare la funzione didattico-formativa
del "suo" museo;
la seconda sala è dedicata a Gian Lorenzo Bernini, artista che ha occupato
ampia parte dell'attività scientifica di Martinelli, già a partire
dai primi anni cinquanta "quando gli studi berniniani salvo poche eccezioni
ben note - erano ancora poco coltivati, e mille difficoltà rendevano
davvero 'pionieristica' l'impresa: musei e collezioni chiuse o semichiuse, bibhoteche
e archivi pressoché impraticabili"30. vengono esposte opere autografe
di Gian Lorenzo come la magnifica terracotta raffigurante il Christo ligato
o l’ intenso Ritratto di Johan Paul Schor. sono presentate anche opere
"di contesto" come i due notevoli marmi di Pietro Bernini, padre di
Gian Lorenzo, raffiguranti il Cristo coronato di spine e l’ Addolorata,
una rara versione in cartapesta dell’Anima dannata, una Testa di Fauno
di maniera berniniana, un frammento di Modello per Tritone o Glauco e uno studio
accademico a sanguigna di Nudo Inginocchiato che sorregge una conchi- glia.
Sono esposte, inoltre, tre copie (una dubitativamente attribuita a Carlo Pellegrini,
allievo e collaboratore del Bernini) del cosiddetto autoritratto di Velazquez,
oggi conservato nella pinacoteca capitolina. rintracciate da martinelli "per
una singolare coincidenza o quasi fatalità", le tre tele testimoniano
la fortuna di un modello molto studiato in ambito berniniano e si inseriscono
"nel dibattito, forse ancora irrisolto, sulle reciproche influenze e sulle
relazioni intercorse fra i due artisti che possono essersi conosciuti al tempo
del primo viaggio in Italia dello spagnolo, nel 1629-30, e su quanto l'uno abbia
influenzato l'altro"31;
la terza sala è dedicata alla committenza di Gian Lorenzo Bernini. vengo
no qui esposti ritratti degli otti papi (in pittura, a rilievo, a stampa o su
medaglie) con i quali Bernini ebbe rapporti di lavoro: Paolo V Borghese, Gregorio
XV Ludovisi, Urbano VIII Barberini, Innocenzo X Pamphilj, Alessandro VII Chigi,
Clemente IX Rospigliosi, Clemente X Altieri, Innocenze XI Odescalchi. Ma vengono
presentati anche ritratti di personaggi appartenenti a famiglie che furono in
contatto con lo scultore barocco: il Cardinale Taddeo Barberini, nepote di Urbano
VIII, il Capitano Mario Chigi, padre di Alessandro VII e del cardinale Flavio,
i piccoli Angela e Sigismondo Chigi, figli di Augusto Chigi e Francesca Piccolomini
(Sigismondo fu nominato cardinale da Clemente IX a soli diciotto anni di età,
nel 1667), il Duca di Bracciano Paolo Giordano Orsini, che Bernini ritrasse
in un busto marmoreo conservato nel castello Orsini di Bracciano (da Martinelli
attribuito ad Andrea Bolgi). di particolare interesse è la raccolta di
medaglie (diciannove, comprese fra il 1626 e il 1676), tra cui anche la bella
fusione di Charles Jean Francois Chéron, commissionata da Luigi XIV per
il settantaseiesimo compleanno di Gian Lorenzo Bernini (1674); la quarta sala
raccoglie opere che illustrano il rapporto tra Bernini e la città di
Roma.
L’ organizzazione espositiva ha il suo perno nello straordinario bozzetto
di Gian Lorenzo per un monumento equestre a Luigi XIV. Il mo¬ numento, mai
realizzato, avrebbe dovuto innalzarsi "sulla collina del Pincio, al centro
di una monumentale scalinata segretamente ideata da Gian Lorenzo Bernini intorno
al 1660 per volontà del re di Francia e del cardinale Mazzarino come
scenografica via d'accesso alla chiesa reale francese della Trinità dalla
piazza di Spagna"32. Intorno sono esposte opere (sculture, disegni, incisioni)
che illustrano l’ importanza avuta da Bernini nel ridisegnare il volto
barocco dell'urbe sia in esterni (Piazza San Pietro, Ponte Sant’ Angelo,
Sant’Andrea al Quirinale) che in interni (Basilica di San Pietro). da
segnalare due crocifissi in bronzo dorato, eseguiti da Ercole Ferrata, su modello
di Gian Lorenzo (1658), per l’ arredo di due altari di San Pietro, e un
libro di disegni, della prima metà del Settecento, forse di artista francese,
che riproduce le statue del Colonnato di San Pietro; la quinta sala riunisce
opere riferibili alla cultura artistica romana del Seicento e del primo Settecento.
Il pezzo di maggiore interesse è il modello in terracotta per uno dei
bassorilievi in alabastro inseriti nel ciborio dell'altare della chiesa inferiore
dei Santi Luca e Martina a Roma. È opera di Pietro da Cortona e Cosimo
Fancelli, che in stretta collaborazione progettarono e realizzarono il sontuoso
altare. Importante è anche un gruppo ligneo, raffigurante la Madonna
Con Il Bambino (o Madonna del Rosario), derivante da uno dei più rinomati
bronzetti di Alessandro Algardi; ne è autore Ercole Ferrata, allievo
e collaboratore dell’Algardi. Sempre dall’Algardi deriva la Maddalena
in cartapesta policroma, molto vicina alla versione in bronzo conservata nella
Basilica della Maddalena a Saint Maximin La Sainte Baume. Due disegni con immagini
allegoriche, attribuiti a Johann Paul Schor e a Giovan Battista Gaulli, introducono
al tema degli apparati effimeri nella Roma barocca, tema al quale si riferiscono
anche le incisioni di Giuseppe Vasi dedicate alla celebre festa della Chinea.
A conclusione di queste note introduttive vorrei esprimere i mei più
sentiti ringraziamenti a tutti coloro che hanno partecipato, a vario titolo,
alla realizzazione del "Museo Valentino Martinelli". ringrazio innanzitutto
Francesca Galante Martinelli, che ha seguito con grande impegno tutte le fasi
tecniche e organizzative della complessa operazione, che rappresenta uno straordinario
arricchimento culturale per la città di Perugia. sono grato anche a Daniela
Gallavotti Cavallero, docente di storia dell'arte moderna nell’Università
della Tuscia e stretta collaboratrice di Martinelli negli ultimi anni della
sua docenza romana, e ad Elena Bianca di Gioia, funzionario direttivo della
Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, che per lungo tempo ha
validamente affiancato il professore nelle ricerche sulla scultura barocca.
Con loro, amiche carissime, ho diviso la fatica, peraltro gradita, di coordinare
l’équipe di studiosi invitati a redige- gere le schede del presente
catalogo il quale, secondo un modello caro a Martinelli, è stato pensato
come lavoro di équipe volto a rafforzare la coesio ne di un gruppo di
amici che hanno conosciuto e apprezzato le doti del professore, vedendo in lui
un attento e premuroso maestro ma anche un referente scientifico di grande competenza
e generosità. La realizzazione del catalogo sarebbe stata sicuramente
meno agevole se Martinelli, previdente come al solito, non avesse "versato"
le sue preziose osservazioni storico-critiche in un inventario ragionato delle
opere che io stesso, sotto sua dettatura, compilai con l’aiuto di mia
moglie Cristina (1996) e che Franscesca Galante Martinelli ha poi riordinato
e informatizzato (2000-2001).
Desidero inoltre ringraziare l'assessore ai Beni e Attività culturali
della Regione dell'Umbria, prof. Gianfranco Maddoli, che ha voluto inserire
questa pubblicazione nella prestigiosa collana "Catalogo regionale dei
beni culturali dell'Umbria", e la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia,
che ha dato un fondamentale sostegno alla stampa del volume. La mia gratitudine
va infine ali'assessore alle politiche culturali del comune di Perugia, dott.
Anna Calabro, che, insieme al suo ufficio, ha seguito tutte le fasi della vicenda
dimostrando sensibilità, determinazione e lucida capacità organizzativa.
Note
1 V. Martinelli, Mostre romane d'arte. Come si diventa collezionista,
in "Momento Sera", 10-11 agosto 1964,p. 3.
2 Su questo aspetto cfr. E.B. Di Gioia, Ricordo di Valentino
Martinelli, in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", XIV, nuova
serie, 2000, pp. 140-145 e, nel presente volume, D. Gallavotti Cavallero, Una
vita di studio, pp. 31-36.
3 C. S. Salerno, Valentino Martinelli e il restauro, in questo
volume, pp. 47-54.
4 V. Martinelli, Una scultura medita del Bernini: un "Christo
ligato" di creta cotta, in Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, a cura
di M. Fagiolo, Roma 1987, p. 92.
5 V. Martinelli, Le pitture del Bernini, in "Commentari",
I, 2, 1950, p. 96.
6 Ibidem, p. 97.
7 M. Marini, Io Michelangelo da Caravaggio, Roma 1974, pp.
13-15, 18, 62, nota 24, 84, nota 2, 332-334; Idem, "Michel Angelus Caravaggio
romanus". Rassegna di studi e proposte, in "Studi barocchi".
I, Roma 1979, p. 76, nota 5; idem, Caravaggio, Werkverzeichns, Frankfurt a.
M. - Berlin - Wien 1980, pp. 4, 12, nota 1; idem, Gli esordi del Caravaggio
e il concetto di "natura " nei primi decenni del Seicento a Roma,
in "Artibus et historiae", 4, 1981, p. 57. Per un panorama completo
e aggiornato sulle numerose redazioni del Mondafrutto (o ragazzo che sbuccia
un melangolo} vedi M. Marini, Caravaggio "pictor praestantissimus",
Roma 2001, pp. 370-373 (con bibliografia).
8 Cfr. relazione di restauro di Elena Zivieri conservata nel
dossier n. 31.
9 Ibidem.
10 Ibidem.
11 Ibidem. La tela fu esaminata anche da Roberta Lapucci che
si espresse (28 giugno 1992) per una datazione più avanzata ("pre-
sumibilmente XVIII secolo"). Interessanti alcune osservazioni contenute
nella relazione tecnica:"la rifrazione luministi-ca (di matrice tintorettesca)
che si sviluppa dal lato destro inferiore della guancia del giovane verso l'orecchio
costi-tuisce un elemento di grande interesse, che presuppone una derivazione
diretta dalla versione caravaggesca del soggetto. 11 polso della mano sinistra
del giovane, nella stesura originale, era in una posizione di scorcio scorretta
come risulta anche nelle altre copie; le ridipinture aveva¬ no corretto
questa anomalia (tipica del Merisi) allo scopo di migliorare la qualità
del dipinto. La radiografia mostra una sovrapposizione di tre stesure diverse
per l'unghia del pollice della mano sinistra del ragazzo; la prima (originale)
era più corta e lievemente rincalcata ad indicare la pressione del polpastrello
sul frutto [...].
Le vecchie radiografie effettuate con mezzi diversi (pellicole di tipo medico
che forniscono risposte leggermente devianti sia pure molto utili) da quelli
oggi comunemente impiegati, hanno rivelato zone ampiamente ri- dipinte che miravano
a rendere, come dire, più 'autentico' il dipinto: 1 ) cercando di rendere
i lineamenti del volto del giovane più marcati rispetto alla versione
originale sottostante in cui il ragazzo ha tratti molto lineari e di una certa
dolcezza; 2) sostituendo il melangolo (verde) con un pomo (rosso) come nella
citazióne del Mancini (ms. Palatino); 3) migliorando i passaggi fra luce
e ombra che sono più sensibili nella ridipintura e più schematici
nei brani pittorici originali [...]. questo genere di ritocchi mi induce al
sospetto che qualcuno sia intervenuto con un'operazione di restauro mirata a
rendere quest'opera più consona alla versione comunemente ritenuta originale
del 'mondafrut-to' del caravaggio" (dalla relazione conser¬ vata nel
c/av.sw n. 31 ).
12 cfr. relazione di restauro di llena zivieri conservata nel
dossier n. 31.
13 l. fumagalli, precoci citazioni ili opere ilei caravaggio
in alcuni documenti inaliti, in "paragone", 47-48, 1994, pp. 101-104.
sull'argomento si veda anche s. macioce, una nota per il moinin frutto, in mìchelun-gelo
merisi ila ciiniviiggio: hi rifu e le ope¬ re attraverso i documenti. atti
del convegno internazionale di studi, roma 1995, pp. 123-134.
14 e. fumagalli, precoci citazioni ili opere del caravaggio
in alcuni documenti inediti, in come dipingeva il caravaggio, atti della giornata
di studio, milano 1996,pp. 143-145.
15 e. fumagalli, precoci citazioni di opere del cumvuggio in
alcuni documenti inediti, in "paragone", 47-48, 1994, p. 114. non
cre¬ do che il termine "vivo" posto dal sarego ac¬ canto al
nome di "michel ang.o caravag-gio" sia da riferire, come propone m.
mari¬ ni (canivnggio "pictor praestantissimus ", roma 2001, p.
371), al soggetto dell'opera. poche righe più avanti lo stesso sarego,
par¬ lando di un'opera del miniatore cesare pol¬ lini, scrive infatti:
"e più un quadretto pic¬ colo d'una miniatura di cesare pollino
pe-rug.no già morto, cioè un trionfo d'uno xpo con molte figure
di puttini, o angelctti tutti ignudi".
16 per un aggiornato resoconto sul problema vedi m. marini,
caravaggio "piotar prae¬ stantissimus ", roma 2001, p. 370.
17 e. fumagalli, precoci citazioni di opere del curavaggio
in alcuni documenti inediti, in "paragone", 47-48, 1994, pp. 102-103.
lx laura teza, che ha pubblicato un ap¬ profondito sudio su cesare crispolti,
pren¬ dendo in considerazione il problema della sua raccolta, ha scritto:
"non sembra poi che il cardinale abbia acquistato alcunché, consi¬
derando che nessuno dei quadri 'migliori' di crispolti risulta poi ncll'inventario
borghese del 1693, compreso quel 'quadretto di mi¬ chel angelo caravaggio
vivo, cioè una figu¬ ra d'un giovane dalla cintura in su che mon¬
da un persico a olio' sulla cui individuazione si è sviluppata una vivace
discussione. l'opi¬ nione prevalente è che anche questa di cri¬
spolti fosse una copia e andrà considerata la presenza di un mondafriitto,
pubblicato dal marini, proveniente ab antiquo da una fami¬ glia perugina,
con la variante di un piccolo angelo in alto a destra" (l. teza, raccolta
delle cose segnalate di cesare crispolti. la più antica guida di perugia
(1597), firenze 2001, pp. 57-58). alla tela resa nota da ma¬ rini possiamo
aggiungere, ora, il mondafrut-fo martinelli, anch'esso proveniente da una raccofta
di perugia. lv martinelli fu coadiuvato nella ricerca da carlotta belloni, che
mise generosamente a disposizione le sue conoscenze sulla colle¬ zione perugina
dei della penna. i beni dei crispolti confluirono in quelli dei della pen¬
na in due distinti momenti: nef f760, in se¬ guito al matrimonio fraadriano
della penna e celidora crispolti e nel 1809, quando il fratello di c'elidora,
morto scapolo e senza e-redi, stabili che il suo patrimonio fosse ag¬ gregato
a quello della famiglia della penna (cfr. c. belloni, la quadreria della penna
nel palazzo dei tré archi, in // palazzo della
penna di perugia, a cura di e. guidoni e f.f. mancini, venezia 1999, pp. 59-75).
20 notizie storiche sul castel toblino e sulla famiglia dei
conti di wolkenstein e trost-burg sono in f. vogt, caste! tohliiw (nei! 'e-vo
antico e medio). in "strenna trentina", xx, 5, 1940, pp. 51 -57; a.
gorfcr, caste! to-hlino, 1966; r. boecardi - d. decarli - a, giovannini, caste!
tohlino. guida, trento 1984.
21 c. felicetti, sperimentazioni artisticlie e coscienza sociale
elei "pittor tedesco" cri¬ sto/oro unterperger nella renici ilei
sette¬ cento, in cristojoro unteperger. un pittore fiemmese nellu roma ilei
settecento, catalo¬ go della mostra. roma 1999, p. 9.
22 m.e. tittoni, notn sul resliiiiro delia "buona ventura
" ili caravaggio, in "bollet¬ tino dei musei comunali di roma",
nuova serie, 1987, pp. 123-124; eadem, la buona ventura dei caravaggio: note
e precisazioni in margine al restauro, in caravaggio. nuo¬ ve riflessioni,
"quaderni di palazzo vene¬ zia", roma 1989,pp. 179-197.
23 fé mancini, introduzione, in pinacoteca comunale
ai derma, "catalogo regionale dei beni culturali dell'umbria", perugia
1992,pp. 14-15, 136-139.
24 l. pascoli, vite ile' pittori, scultori eil ar¬ chitetti viventi.
introduzione di v. martinelli, nota sulla storia dei manoscritti di f.f. mancini,
treviso 1981; idem, vite de'pitto¬ ri, scultori ed architetti moderni. edizione
critica dedicata a valentino martinelli, intro¬ duzione di a. marabottini,
perugia 1992. ^ f.f. mancini, introduzione, in pinacoteca comunale di deruta,
"catalogo regionale dei beni culturali dell'umbria", perugia 1992,p.26.
25 ( su questo aspetto ctr. f.f. mancini, valen-tino marlinelli:
il ricordo di un allievo, in "commentari d'arte", v, 12, 1999, pp.
9-11.
27 v. martinelli, presentazione, in l. pascoli, vite de 'pittori,
scultori ed architetti moder- | ni. edizione critica dedicata a valentino martinelli,
introduzione di a. marabottini, perugia 1992,p. 12. -v ff palazzo detta penna
iu' perugia, u cura di e. guidoni e f.f. mancini, venezia 1999, p. xvii.
29 su questo aspetto ctr., nel presente volu¬ me, e.b.
di gioia, valentino martinelli e la scultura barocca romana. le ragioni di un
colleziomsta, pp. 37-46.
30 v. martinelli, premessa, in gian lorenzo bernini e la sua cerchia.
studi e confrihiiti (j 950-] 990), napoli 1994, p. 7.
31 o. melasecchi, in questo catalogo, scheda n. 6.
32 e.b. di gioia, in questo catalogo, scheda n. 19.
Una vita di studio
Daniela Gallavotti Cavallero
La feconda vicenda di studioso di Valentino Martinelli si è svolta lungo
il corso di più di cinque decenni, spaziando dall’ Arte medievale
a quella contemporanea, da Arnolfo di Cambio alla Scuola romana. Ha scritto
di pittura, scultura, architettura, disegno e su quelle che si dicevano arti
minori con la competenza e la completezza che caratterizza gli studiosi che
non hanno precocemente intrapreso la via della specializzazione a oltranza.
Martinelli si è subito rivelato ricercatore originale, e coraggioso,
affrontando uno dei versanti ancora oggi più rari e controversi dell'attività
di Gian Lorenzo Bernini, in un articolo dal titolo brevissimo e perentorio:
Le pitture del Bernini, apparso nel 19501. È ben noto che su questo aspetto
dell'operosità berniniana, segnalato dalle fonti come rilevante ma progressivamente
affievolitesi nella consapevolezza della critica, si erano appuntati, a partire
dagli inizi del novecento, gli interessi degli studiosi, dal Fraschetti, al
Pollak, al Muñoz e fino alla monografia di Luigi Grassi sul Bernini pittore,
datata 1945, per dire solo dei contributi quantitativamente più cospicui.
Attraverso gli scritti sull'argomento della prima metà del secolo scorso,
dunque, pionieristici e perciò tanto più mentori qual erano, si
era andato tuttavia accumulando un corpus pletorico di dipinti nei quali non
era facile individuare la sequenza cro¬ nologica e la coerenza stilistica.
L'approccio metodologico di Martinelli al problema è contenuto in una
breve frase ali'inizio del saggio: "Per veder chiaro in questo spinosissimo
e non secondario problema della critica berniniana non resta dunque che costituire
finalmente un nucleo di pitture- poche, pochissime, ma certe per documento e
per stile- e soprattutto tentarne un ordinamento cronologico per lo più
ritenuto difficilissimo se non impossibile ma mai proposto in base ad argomenti
piuttosto esteriori". Appare evidente subito, insomma, come gli studi del
giovane Martinelli poggino su solide basi filologiche e su una altrettanto solida
e ampia conoscenza e capacità di riconoscere gli artisti e le loro opere.
I documenti, allora, e innanzitutto. Così, accantonando in blocco quello
che al tempo era considerato il catalogo delle pitture berniniane e che si componeva
di una trentina di dipinti, lo studioso ne riaggrega solo sette, intorno alla
tela che raffigura i Santi Andrea e Tommaso, ricordati come "di mano del
Cavalier Bernino" già in un inventario di casa Barberini datato
1627: quattro autoritratti, il Ritratto di Urbano VIIl della Galleria Spada,
il David Incisa e una Testa di vecchio.
Così circoscritto, avverte lo studioso, il catalogo delinea, in sintonia
con quanto avevano indicato i biografi, due distinti momenti cronologici dell'attività
pittorica berniniana, il primo conseguente alle esortazioni di urbano vili,
i "consigli dell'amico pontefice" come li chiamava Bal-dinucci; il
secondo alla morte di papa Barberini, negli anni dell'isolamento impostogli
dall'ascesa al soglio di Innocenzo X. Intorno agli otto dipinti autografi Martinelli
tesse la fitta trama delle relazioni con la pit¬ tura di quei decenni, Sacchi,
Guercino, Lanfranco, Poussin, Velazquez, Cortona, Baciccio; introduce il problema
dei pittori di stretta osservanza berniniana, pone in poche pagine le premesse
per tutti gli studi successivi sull'argomento. Anche le opere espunte sono oggetto
di discussione, per quanto confinata in nota. E proprio per le note che corredano
il primo saggio berniniano di Martinelli occorre fare un cenno a parte per la
straordinaria densità del loro contenuto: non solo riferimenti bibliografici,
ma attribuzioni - esemplare è quella conclusiva - che spesso hanno resistito
a mezzo secolo di studi ulteriori, e proposizioni problematiche,come, in un'altra
nota, quella relativa ai rapporti di scambio Bernini-Baciccio, che ancora attendono
una risposta esauriente.
L'articolo su Le pitture del Bernini, benché apparso nel 1950, è
datato 1948. Sono dunque esordi precoci quelli di martinelli che, appena venticinquenne,
percorre con sicurezza e misura le vie complesse, e all'epoca assai poco note,
della cultura artistica del seicento non solo romano. Queste sue qualità,
sicurezza e misura, nei giudizi e nei contenu¬ ti, trovano espressione in
una prosa asciutta nella quale l'analisi formale è strettamente finalizzata
alla comprensione dell'opera, rifuggendo dal compiacimento letterario e dalla
parafrasi verbale, in un tempo in cui, peraltro, era questa ancora l'attitudine
prevalente. E quella stessa sobrietà, che è una forma mentale,
percorre tutta l'opera dello studioso, della quale il saggio su le pitture del
bernini rappresenta l'esordio paradigmatico.
In quello stesso anno 1950, poi, nel successivo fascicolo della rivista "commentari"2,
sarebbe uscito un secondo contributo, dedicato ai disegni del Bernini e complementare
al primo non solo per la contiguità del¬ la materia ma perché,
rispetto a quello, affronta il problema opposto, quello di indicare la strada
per ristabilire una corretta lettura formale dei numerosissimi fogli berniniani
che brauer e wittkower avevano raccolto nel 1931 in un monumentale corpus. Si
dipanano così le vicende della grafica berniniana, la durevole propensione
per la cultura carraccesca, lo studio dell'antico, il gusto per il ritratto.
È, questo dei ritratti realizzati da bernini, disegnati, dipinti, scolpiti,
il vero filo conduttore degli studi di martinelli sull'artista: non pochi sono
quelli presentati per la pri¬ ma volta nei suoi scritti: il busto di Camilla
Barbadori, madre di Urbano VIII, quello di Clemente X Altieri, quello di Maria
Barberini, il ritratto dipinto di Pietro Bernini.
Ad un tempo precocissimo, i primi anni Cinquanta, risale anche il tentativo
di Martinelli di riordinare una materia allora assai vaga come era quella dei
rapporti del giovane gian lorenzo con il padre pietro, anch'egli scultore, e
della corretta attribuzione di alcune opere su cui le fonti si mostravano contraddittorie
e incerte, come è il caso San Sebastiano della collezione Thyssen, del
San Lorenzo di Palazzo Pitti, e dello stesso gruppo con Enea, Anchise e Ascanio
della Galleria Borghese. I contenuti di quel saggio si arricchiranno, quasi
dieci anni e di un'importante scoperta: i due termini rappresentanti priapo
e i provenienti dalla villa borghese, allora in una collezione privata americana.
Dietro i pagamenti a Pietro Bernini pubblicati dallo stesso Martinelli, lo studioso
vedeva una estesa collaborazione del giovane Gian Lorenzo, alla quale la critica
non ha fatto mancare riserve ma che si è rivelata poi stilisticamente
corretta4.
Per tornare ora ai disegni, questa materia avrà molti anni dopo, nel
1981, una trattazione più ampia, ma sempre discendente da quelk me, fondamentali,
asserzioni5. Anche il tema delle pitture sarà destinato a percorrere
tutto il corso dell'itinerario critico di Martinelli, anche se aquel giovanile,
parco catalogo egli ne aggregherà pochissime altre venendo meno al suo
impegno di storico e di filologo.
Nella bibliografia di Valentino Martinelli la figura di Gian Lorenzo Bernini
si pone come elemento cardine intorno al quale ruotano molte altre vicende artistiche
del tempo, prime fra tutte quelle relative alle cerchia di artisti impegnati
a tradurre nell’ opera finita le idee berniniane: pittori come Guidubaldo
Abbatini, scultori come Andrea Bolgi, artisti come Matthia de' Rossi, incisori
come Francois Spierre, a cui si deve la trasposizione grafica di non poche opere
berniniane6. La padro-nanza del tempo del tardo Manierismo e del Barocco romano,
il dominio delle fonti, iconografiche e d'archivio, formano l'humus da cui prendono
corpo gli studi, sempre ricchi di indicazioni nuove, spesso essenziali successivi
percorsi critici, dedicati a Francesco Mochi, Pompeo Ferrucci, Camillo Rusconi,
Flaminio Vacca, al raro Federico Zuccari scultore Camillo Mariani, Francois
Du Quesnoy, Giovanni Baglione, Carlo Saraceni, Pierfrancesco Mola, fino a Filippo
della Valle e al Canova7.
La sensibilità nei confronti dell'opera scolpita, la chiara percezione
delle componenti tecniche e formali è alla radice della riconsiderazione
dell'attività di donatelle nel breve soggiorno romano agli inizi degli
anni trenta del quattrocento, in virtù della quale ne risulta ridefinita
la responsabilità nel monumento funebre di Martino V e nel tabernacolo
per Eugenio IV. Per quest'ultimo, la rilettura dei documenti e l'analisi formale
hanno portato alla constatazione della compresenza di michelozzo, arricchendo
il corpus delle imprese in sodalizio fra i due8.
Gli anni cinquanta e sessanta sono anche quelli della militanza di critico contemporaneo
- espressa negli articoli sui quotidiani e nelle tra¬ smissioni radiofoniche
- in cui Valentino Martinelli indirizza la propria attenzione in particolare
alla scuola romana, a Mafai, Antonietta Raphàel, Scipione, nel cui espressionismo
cromatico rivive l'esuberanza formale del barocco. Ad Antonietta Raphäel
dedica il primo saggio su una rivista scientifica, e qualche anno dopo la prima
monografia. L’interesse per le espressioni figurative Dell'ottocento e
del Novecento, dai paesisti romani alla Biennale, rimane come motivo di sottofondo
fino ai saggi degli anni Ottanta dedicati a Ungaretti e la "scuola Romana
" e a La campagna romana nella poesia del Belli e nella pittura dell 'Ottocento
9.
Nei vent'anni del suo magistero universitario alla sapienza (1976-1995, dopo
avere insegnato durante i vent'anni precedenti alle università di Messina
e di Perugia), martinelli ha aggregato intorno a sé, alla seconda cattedra
di storia dell'arte moderna e alla scuola di specializzazione in storia dell'arte
che ha lungamente diretto, un folto gruppo di studenti e di giovani studiosi
ai quali ha tramandato la sua metodologia: ricerca d'archivio, studio delle
fonti e necessità di possedere un'ampia e profonda conoscenza dei fatti
dell'arte al di là della propria specializzazione. Nell'ambito di questa
scuola, impegnata a indagare sistematicamente pittura, scultura e architettura
del seicento romano sono nati alcuni importanti studi, il primo dei quali, dopo
la collaborazione alla mostra dedicata a Bernini in vaticano (1981), è
nel 1982 quello relativo alla decorazione scultorea del colonnato di san pietro10.
Nel corso degli anni ottanta vedono la luce altri progetti non strettamente
connessi con ricerche berniniane, come il commento alle vite di lione pascoli,
prima il manoscritto perugino, poi i due volumi del 1730-36, o come la monografia
su Andrea Pozzo - risultato del triennio di permanenza presso il centro linceo
interdisciplinare b. Segre dell'Accademia dei Lincei | (1990-1993) - artista
di cui Martinelli ha studiato in prima persona L’attività di prospettico,
nell’ambito del seicento romano ed europeo".
In anni recenti aveva dato vita ad un progetto di ampio respiro, chiamando a
collaborare non soltanto i suoi scolari, ma anche altri docenti universitari
e studiosi delle soprintendenze, dell'istituto centrale del restauro e di altre
istituzioni statali e comunali. Il progetto, articolato in numerosi volumi dedicati
all' universo barocco, aveva come elemento conduttore i filoni di indagine lungo
i quali si sono disposti i contributi |[ Di Valentino Martinelli nel corso di
cinque decenni: da Pietro Bernini e gli altri scultori del primo seicento romano,
all'ultimo Bernini. Al terzo volume, per il quale stava approntando il corpus
della pittura di Gian Lorenzo Bernini, attendeva ancora poche settimane prima
della morte12
Note
1 Le Pitture Del Bernini, in "commentari", I, 1950,
pp.95-104.
2 I disegni del Bernini, in "Commentari", I, 1950,pp.
172-186.
3 Capolavori noti ed ignoti de! Bernini: i ritraiti dei Barberini,
diInnocenzo X e di Alessandro VII, in "Studi Romani", 111, 1, 1955,
pp. 32-52; Il busto di Urbano VIII Di Gian Lorenzo Bernini nel Duomo di Spoleto,
in "Spoletium",I-II,1954-1955, pp. 43-49; I busti herniniani di Paolo
V, Gregario Xv e Clemente X, in "Studi Romani", III, 6, 1955, pp.
647-666; Novità berniniane: 1. Un busto ritrovato: la madre di Urbano
VIII: 2. Un crocifisso ritrovato?, In "Commentari", VII, 1956, pp.
23-40; I ritratti di pontefici di Gian Lorenzo Bernini, Roma 1956; Il ritratto
de! Padre de! Bernini "di mano del cavaliere", in "storia dell’arte",
38-40, 1980, pp. 335-338; un altro dipinto di Gian Lorenzo Bernini: un ritratto
giovanile del card. Antonio Barberini junior, in studi in onore di Giulio Carlo
Argan, Roma 1984, pp. 259-263; nuove precisazioni su due ritratti di Urbano
VIII Barherini, dipinti da Gian Lorenzo Bernini, in Gian Lorenzo Bernini e le
arti visive, atti del Convegno, Roma 1987, pp. 251-258; notizie su Agostino
e Pietro Valier cardinali di San Marco a Roma ; su le vicende dei due ritratti
berniniani in marmo da Roma a Venezia, in La regola e la fama: San Filippo Neri
e l'arte, catalogo della mostra, Milano 1995, pp.98 107
4contributi alla scultura del Seicento - iv, Pietro Bernini
e figli, in "Commentari", iv, 1953, pp. 133-154; Novità hermniane:
4. "Flora " e "Priapo " due termini già nella Villa
Borghese a Roma, in "Commentari", XIII, 1962,pp. 267-288.
5 Gian Lorenzo Bernini. Disegni, Firenze 1981.
6 Nuovi ritratti di Guidubaldo Abbatini e Pierfrancesco Mola,
in "commentari", IX, 1958, pp. 99-109; Contributi alla scultura del
Seicento: Andrea Bolgi a Roma e a Napoli, in "Commentari", x, 1959,
pp. 137-158; prefazione in A. Menichella, Mattia de' Rossi, discepolo prediletto
del Bernini,Roma l985.pp.7-10.
7 Alcune opere inedite di Francesco Mochi 1946, pp. 72-77;
Contributi alla scultura del Seicento. I. Francesco Mochi a Roma, in "commenta-ri".
II, 1951, pp. 224-235; Scultori fiamminghi in Italia, in "atti dell' Accademia
Nazionale dei Lincei. Rendiconti della classe di scienze morali, storichee e
filologiche", VII, 1952, pp. 399-415; due modelli di caniillo ruscelli
ritrovati, in "commen-tari", iv, 1953, pp. 231-241; La Scultura di
Federico Zuccari, in "Capitolium", XXIX, 1954, pp. 39-46; Flaminio
Vacca scultore e antiquario romano, in "Studi Romani", II, 1954, pp.
154-164; Le Prime Sculture di Camillo Mariaiti a Roma, in "Atti del XVII
Congresso di Storia Dell’Arte di Venezia", 1955, Venezia 1957, pp.
309-311 ; Un capo- lavoro recuperato: il Battesimo di Cristo di Francesco Mochi,
in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", iii, 1956, pp. 48-59;
Cristoforo Stati e il gruppo ai "Venere e A-done", in "Rivista
d'Arte", XXXII, 1957, pp. 3-12; un capolavoro inedito di Lan-franco in
S. Domenico di Spoleto, in "Spoletium", IV, 1957, pp. II, pp. 12-16;
Settecento inedito: Sebastiano Conca in Umbria, in "Spoletium", v,
1958, 1, pp. 3-11; L'Amor divino "tutto ignudo" di Giovanni Baglione
e la cronologia dell'intermezzo caravaggesco, in "arte antica e moderna",
5, 1959, pp. 82-96; Le date della nascita e dell 'arrivo a Roma Di Carlo Saraceni,
pittore veneziano, in "Studi Romani", VII, 1959, pp. 137-158; Settecento
inedito: un modello di Angelo de ' rossi per la statua di Alessandro VIII Ottoboni
in S. Pietro, in "Studi Romani", VII, 1959, pp. 429-437;un "modello
di creta" di Francesco Fiammingo, in "Commentari", XIII, 1962,
pp. 113-120; Canova e la forma neoclassica, in Arte neoclassica, atti del convegno,
Firenze 1963, pp. 199-212; Un sonetto sulla pittura di Marzio Milesi, in "Arte
Lombarda. Studi in onore di G. Nicco Fasola", x, 1965, pp. 260-264; Altre
opere di Pierfrancesco Mola a Roma, in arte in Europa. Scritti di Storia dell'arte
in onore di Edoardo Arslan, Milano 1966, pp. 713-718; scultura italiana dal
Manierismo al Rococò, Milano 1968; Un bozzetto in terracotta di Filippo
della Valle, per la statua di Clemente XII Corsini, in "Bollettino dei
Musei Comuna- di Roma", XVI, 1969, l-4,pp. 1-12; Agostino Scilla, pittore
e scrittore messinese esule a Roma, in Studi in onore di S. Pugliatti, v, milano
1978, pp. 597-605; Un modello di Francesco Trevisani per il profeta Barouch
nella Basilica lateranense, in "Arte Veneta. Studi in onore di R. Pallucchini",
XXXII, 1978, pp. 376-382; L'uomo e l'artista nella cultura e nella società
del suo tempo, in Pietro da Cortona architetto, atti del convegno, Cortona 1978,
pp. 31, 38, 44-47, 53.
8 Donatello e Michelozzo a Roma (I), in "Commentari",
VIII, 1957, pp. 167-194; Donatello e Michelozzo a Roma (II), in "Commentari",
ix, 1958, pp. 3-24; La "compagnia " di Donatello e Michelozzo e la
"sepoltura " del Brancacci a Napoli, in "Commentari", XIV,
1963, pp. 211-226.
9 Raphäel Mafai, in "Commentari", III, 1952,
pp. 293-300; Antonietta Raphäel Mafai,Roma 1960; Scipione e Renato Mazzacurati
pittore (con dodici lettere inedite di Scipione), in Studi di storia dell’arte
in onore eli Vittorio Viale, Torino 1967, pp. 98-116; Mario Maifai, Roma 1967;
Antologia di scritti editi e inediti di Mario Mafai, in Mafai, catalogo della
mostra. Roma 1969, pp. 13-50. Sulla pittura dll'ottocento; Momenti e aspetti
dell pittura di paesaggio a Roma nella prinìa metà del XIX secolo,
in "Rassegna del Lazio", IX, 1962, 9-12, pp. 67-76; Momenti e aspetti
della pittura di paesaggio a Roma nella prima metà del XIX secolo, in
"Rassegna del Lazio", X, 1963, 4-6, pp. 59-68; paesisti romani dell'Ottocento,
Roma 1963; ‘’"er deserto ": la campagna romana nella poesi
del Belli e nella pittura dell'Ottocento, in Letture Belliane. I sonetti del
1836 Roma 1986, pp. 47-63. Fra gli altri scritti di arte contemporanea si segnalano:
M. Henri Laurens, in "catalogo della XXV Biennale di Venezia", Venezia
1950, pp. 397-399; Sculture moderne all 'aperto, in "Commentari".
Iv, 1953, pp. 275-287; la XXVIII Biennale di Venezia. La scultura, in "Commentari",
v, 1954, pp. 11-7; Mirko, in "Commentari", VI, 1955, pp. 206-216;
Venezia 1936. Crisi della Biennale o Biennale di crisi, in "Commentari;",
VII, 1956,pp. 199-206; Modigliani e Laurens, in Scritti di storia dell'arte
in onore di Lionello Venturi, Roma 1958, pp. 205-214; Raffaello Salimbeni, in
Catalogo dell'ottava Quadriennale di Roma, Roma 1959, p. 171; mirko, in catalogo
dell'Otta¬ va Quadriennale di Roma, Roma 1959, p. 201; Mirko, in Catalogo
della XXX Biennale Di Venezia, Venezia 1960, e numerosi testi sulla rivista
"il Veltro".
10 Le statue berniniane del colonnato di San Pietro, a cura
di V. Martinelli, Roma 1987.
11 vite de' pittori, scultori ed architetti viventi scritte
dal perugino Lione Pascoli. Treviso 1981 (introduzione al volume e commento
alla vita di Lorenzo Ottoni); vite de 'pittori, scultori ed architetti moderni(1730-1736),Perugia,
1992 (presen-
tazione); Andrea Pozzo, a cura di V.De Feo e V. Marti- nelli ("teatri sacri
e profani"di Andrea Pozzo nella cultura prospettico-scenogra-fica barocca.
pp. 94-113).
I2 volumi apparsi (in parentesi i contributi di Martinelli):
marmorari e argentieri a Roma e ne! Lazio. Roma 1994; L 'ultimo Bernini, 1665-1680
nuovi argomenti, documenti e immagini. Roma 1996 l'ultimo crocifisso del Bernini,
pp. 161-180; la "Imago Christi" secondo Bernini. Costanti e varianti
tipologiche e formali, pp. 181-232).
Valentino Martinelli e la scultura barocca romana.
Le ragioni di un collezionista
Elena Bianca Di Gioia
La prima volta che ho avuto modo di visitare la collezione di scultura di Valentino
Martinelli, alla metà degli anni Novanta, non nego di essere entrata
nella sua casa con un certo timore. Timore e profondo rispetto per uno studioso
e storico dell'arte tra i più importanti del Novecento che a-vevo conosciuto
soprattutto attraverso gli scritti, brillanti e innovativi, dedicati al Barocco
e alla scultura romana del Seicento, ma anche uomo dotato di un intuito critico
formidabile nel valutare le opere d'arte, che gli consentiva di cogliere con
grande libertà di pensiero e lucidità la qualità di una
scultura, anche quando quest'ultima si presentava in forme assolutamente nuove
e inedite che sembravano smentire tutto quello che fino a quel giorno si era
dato per certo e conosciuto.
Laureatosi a ventidue anni nel 1945 ali'università degli studi "La
Sa¬ pienza" di Roma con una tesi discussa con Pietro Toesca su Francesco
Mochi scultore, predilige sin dagli esordi strade fino ad allora poco battute
dagli storici dell'arte italiani della prima metà del Novecento (se si
escludono gli studi pionieristici di Stanislao Fraschetti, Antonio Munoz, Alberto
Riccoboni e Roberto Battaglia): la storia della scultura e il barocco, periodo
storico sul quale pesava ancora in italia, nonostante le ricerche documentarie
e le aperture critiche di studiosi austriaci e tedeschi dei primi decenni del
novecento quali Oskar Pollak, Orbaan, Hermann Voss, Heinrich Brauer e Rudolph
Wittkower, il giudizio negativo di Benedetto Croce, che aveva liquidato questo
nodale momento della storia della cultura italiana ed europea come fase di inequivocabile
decadenza del gusto 1
Il metodo critico appreso alla scuola di Toesca e affinato negli anni di perfezionamento
con Lionello Venturi e Mario Salmi, unito ali'accurata ricognizione delle fonti
d'epoca e all'appassionata ricerca, in collezioni pubbliche e private, di opere
d'arte spesso considerate perdute o disperse, lo avevano portato fin dai sui
primi scritti a dare un fondamentale apporto scientifico alla ricostruzione
dell'attività di due protagonisti della scultura del Seicento: Francesco
Mochi e Gian Lorenzo Bernini, ma anche un concreto contributo alla salvaguardia
e alla valorizzazione di alcuni loro capolavori ignorati,
Emblematico il caso dei suoi primi studi su Mochi pubblicati tra il 1946 e il
19522.Le ricerche effettuate presso gli eredi Barberini e la ri- ^ costruzione
critica dell'attività dello scultore, basata sull'attenta disami na delle
fonti, lo portarono ad una puntuale ricognizione delle opere superstiti, non
sempre in linea con i giudizi critici di più noti e accreditati studiosi
(e si rileggano in proposito le brillanti considerazioni del venti treenne Martinelli
accanto a quelle un po' infastidite e supponenti di Paola della Pergola a proposito
dell'attribuzione del Busto marmoreo di Carlo Barberini del Mochi sulle pagine
della rivista "Arti Figurative" del 1946)3. Accanto all'elenco delle
opere certe, o attribuite con serrato metodo critico, lo studioso segnalava
le sculture citate dalle fonti ancora da rintracciare e che ad anni di distanza,
anche sulla base delle sue essenziali indicazioni, saranno da altri identificate
con successo (come ad esempio il magnifico busto di Antonio Barberini Juniore
del Toledo Museum of art pubblicato da Irving Lavin nel 1970)4.
E’ importante ricordare che grazie ai suoi studi, ma anche al suo con
creto impegno nel campo della tutela, due capolavori di questo grande artista
furono di lì a poco salvati dal definitivo degrado: è il caso
Del Cristo e del Battista, già esposti ali'aperto sulla testata nord
di ponte mil vio, trasferiti nel 1955 al Museo di Roma a seguito dell'appello
lanciato dallo studioso, fin dal 1951, sulle pagine della rivista "Commentari".
Altre saranno felicemente "riscoperte" e valorizzate all'interno di
collezioni pubbliche romane, come accadde per il citato busto di Carlo Barberini
del Museo di Roma (fig. 1), uno dei capolavori della scultura di ritratto a
Roma intorno al 1630, presentato per la prima volta in un contesto critico esauriente
nel suo studio del 19465.
Nei primi due scritti dedicati a Gian Lorenzo Bernini pittore e disegnatore6,
pubblicati nel primo numero della rivista "Commentari" fondata Da
Lionello Venturi E Mario Salmi nel 1950, si intravede chiaramente un'altra novità
del suo approccio metodologico allo studio del maestro del Barocco romano, concepito
e applicato "(...) Come speculare alla poetica berniniana del bel composto
delle tre arti, in quanto rivolto alla ricerca costante (allora ben poco praticata,
oggi fin troppo diffusa) della loro interdipendenza negli sviluppi della nuova
sintassi berniniana, che, anche per questo, sta alle origini del linguaggio
barocco"7.
Questa apertura inedita darà i suoi frutti nel decennio successivo in
cui videro la luce saggi e scritti critici che segnarono un momento di grande
vitalità nell’ambito degli studi berniniani. Nel 1953, con due
anni di anticipo sul fondamentale testo di Rudolph Wittkower, pubblicava la
monografia Bernini, edita nella collana dei Libri del Pavone della Mondadori
come pocket-book, destinata ad un più ampio pubblico e impegnata "(...)
a investigare la sorprendente vastità e l'inesauribile profondità
dell'universo berniniano nei suoi multiformi aspetti'8. L'autore, in questo
denso profilo della vita e dell'opera di Bernini, pone nettamente l'accento
sulla interdipendenza tra le diverse componenti del linguaggio dell'artista:
pittura, scultura e architettura si fondono in unità, ma per la prima
volta anche disegni, caricature, incisioni, scenografie teatrali, testi di commedie
e apparati effimeri per la festa vengono segnalati come parte integrante della
sua attività. E un'indicazione preziosa che i successivi studi di Maurizio
e Marcello Fagiolo dell'Arco metteranno a frutto in modo esemplare9. C'è,
allo stesso tempo, un chiaro invito ad inserire tutte le componenti del linguaggio
artistico berniniano in un saldo quadro storico di riferimento. "non dimentichiamo
- afferma lo studioso - che l'esteticità di tali forme si illumina di
piena luce quanto più sentite in un diretto rapporto con quei fatti storici,
quelle correnti di pensiero che ne condizionarono, allora, la nascita; la cui
rievocazione, anche brevissima, ne favorisce, oggi, la netta comprensione"10.
In queste, come in altre e più mature prove, la scrittura gioca un ruolo
fondamentale. Quasi mimetica nel descrivere con assoluta pregnanza tutti gli
aspetti legati alla materia e alla tecnica d'esecuzione di un'opera, considerati
di fondamentale importanza in quanto intimamente connessi agli esiti che l'artista
intendeva raggiungere, è originale, talvolta polemica, in alcuni saggi
così raffinata da sfiorare la pura letteratura. Avvincente nei ragionamenti,
esige la massima attenzione del lettore fino ali'ultima riga, anche nelle note,
dove le notizie e i suggerimenti per gli studiosi sono ad altissima densità.
Sono anni di intenso lavoro che vedono, oltre al saggio dedicato a Pietro Bernini
e figli su "Commentari" del 1953, una serie di contributi importanti
sui ritratti dei pontefici di Gian Lorenzo Bernini del 1954 e 1955, che culminarono
nella ormai quasi introvabile monografia edita dall'istituto di Studi Romani
nel 1956".
In questi scritti filologia e connoisseurship si fondono ad un'attenta ricostruzione
delle vicende storiche delle singole opere, basata su accurate ricognizioni
presso collezionisti ed eredi delle nobili famiglie dei pontefici (Barberini,
Pamphilj, Chigi e Altieri), che gli permettono di rintracciare e portare ali'attenzione
della critica capolavori ignorati o dispersi.
È importante ricordare che alcune di queste magnifiche sculture di Bernini,
a seguito dei suoi studi, furono negli anni acquisite nelle collezioni pubbliche
romane: tra le altre ricordo il busto, marmoreo di Antonio Barberini seniore
e i due busti marmorei di Urbano VIII, provenienti dalla collezione Barberini,
acquistati dalla Galleria Nazionale d'arte Antica (fig. 2); il raro modello
in terracotta del busto di papa alessandro VII Chigi proveniente dalla collezione
Muñoz, oggi a palazzo Corsini e la mezza figura in marmo di papa Clemente
X "ritrovata" da Martinelli nel 1955 a Palazzo Altieri (fig. 3), acquistata
e restaurata nel 1997 dalla Galleria Nazionale d'arte Antica ed esposta per
la prima volta al pubblico nella mostra dedicata a Gian Lorenzo Bernini organizzata
a roma nel 199912.
Agli anni Cinquanta e Sessanta, periodo nel quale è impegnato anche nel
campo della storia dell'arte medievale, rinascimentale e neoclassica, oltre
a sue meno note incursioni nel campo della storia dell'arte contemporanea e
in quello della critica d'arte13, risalgono gli scritti dedicati a scultori
del Manierismo, delBarocco e del tardo Barocco a Roma. Marmi, bronzi, bozzetti
e modelli in terracotta di autori quali Flamimo Vacca Federico Zuccari Scultore,
Camillo Mariani, Cristoforo Stati, Pietro Bernini, Andrea Bolgi, Francois Du
Quesnoy, Domenico Pieratti, Lorenzo Ottoni, Camillo Rusconi, Angelo de' Rossi
E Filippo della Valle sono spesso riconosciuti e presentati per la prima volta
con una chiara percezione della qualità della scultura e delle sue peculiarità
tecniche e formali. La messe delle scoperte è tale che basterà
citare le erme di Flora e Priapo di Pietro Bernini (figg. 4-5), ritrovate in
collezione privata negli Stati Uniti, il Modello in terracotta del cardinale
Maurizio Di Savoia del Du Quesnoy e il Modello in terracotta per la statua di
papa Gregorio XIII di Camillo Rusconi, riconosciuti e valorizzati nelle collezioni
del Museo di Roma, o il modello in terracotta per la statua di Alessandro VIII
Ottoboni di Angelo de' Rossi al De Young Memorial Museum di San Francisco, per
comprendere come le novità emerse dai suoi studi abbiano costituito punti
fermi per la ricostruzione critica dell'attività di questi maestri della
scultura del Seicento e del Settecento romano14
È a partire da questi anni che si viene delineando la sua collezione
d'arte dal Cinquecento al Novecento.
Ad evidenza, la raccolta di scultura del Seicento e del primo Settecento, non
diversamente dagli altri settori della sua collezione, si configura nel solco
dei suoi interessi di studio e delle sue curiosità intellettuali intorno
a tutti gli aspetti dell'arte barocca. Ma fin dalle origini mi sembra chiaro
l'intento - più da conservatore di museo e da docente univer-sitano,
che da semplice collezionista - di formare una raccolta dove ma¬ teriali
non sempre di facile apprezzamento, quali sculture di piccolo formato, bozzetti
in terracotta, gessi, piccoli bronzi, sculture in legno e rare cartapeste, potessero
non solo trovare il loro ambiente ideale nel temporaneo e ben costruito rapporto
di contiguità con dipinti, disegni e incisioni della stessa epoca sapientemente
distribuiti ali'interno della sua casa-museo, ma il definitivo rifugio dalla
dispersione sul mercato antiquario italiano ed europeo e un luogo privilegiato
di tutela, di studio e di valorizzazione in vista della loro trasmissione nel
tempo.
Fin dalla mia prima visita alla raccolta di modelli e bozzetti in terracotta
del Seicento e del Settecento conservati nel suo appartamento, nel suo studio
e nella sua biblioteca - vera e propria "casa della vita", specchio
dell'anima di un valente studioso e di un raffinato intellettuale - ho appreso
dalla sua viva voce quello che con grande serenità stava progettando
da lunghi anni per il futuro della sua collezione: la piena valorizzazione in
un museo come primo nucleo di una più ampia raccolta dedicata al Seicento
e Settecento romano, destinata a crescere nel tempo attraverso altri generosi
doni, depositi o mirati acquisti, che fosse soprattutto di stimolo alla formazione
di giovani storici dell'arte e un concreto contributo alla tutela e alla valorizzazione
del patrimonio pubblico nazionale.
Questo era stato il senso del suo paziente lavoro di collezionista e del suo
sistematico e appassionato impegno di conservatore. Quasi tutte le sculture
acquistate nel corso di circa cinquant'anni, senza distinzione di qualità
o importanza, erano state oggetto di accurate indagini e di restauri affidati
ai migliori specialisti sotto la sua attenta dirczione. Le opere più
problematiche erano state in più occasioni sottoposte ali'attenzione
di storici dell'arte italiani e stranieri, divenendo oggetto di corrispondenze
e conversazioni di cui Martinelli amava serbare il ricordo in alcuni concisi
appunti conservati nei suoi dossier. Ma la disponibilità ad accogliere
nella sua casa romana studiosi in visita alle sue collezioni contrastava con
l'estremo riserbo nel rendere noti gli esiti delle ricerche intorno ad opere
di sua proprietà.
Raramente, talvolta dopo decenni di riflessione, e solo nel caso in cui \e indagini
su una scultura oggetto di quotidiane frequentazioni erano giunte a un grado
di maturazione giudicato utile al progresso degli studi, aveva convenuto di
presentarle al giudizio della critica.
È questo il caso del magnifico modello in terracotta del "Cristo
ligato" attribuito a Gian Lorenzo Bernini (fig. 7). Acquistato nei primi
anni Sessanta, fu presentato dallo stesso Martinelli solo nel 1987 in un intervento
al convegno dedicato a Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, promosso dall'Istituto
della Enciclopedia Italiana 15. L'attribuzione, suggerita in base ad una serratissima
lettura critica, fu accolta a suo tempo con una certa cautela e ripresa solo
da alcuni degli studiosi che avevano avuto la possibilità di vedere il
modello nella sua collezione (Marcelle e Maurizio Fagiolo dell'Arco già
nel 1967 e, più recentemente, SebastianSchütze, Oreste Ferrari,
Serenita Papaldo, Francesco Petrucci). La terracotta, che costituisce a mio
avviso uno dei lasciti più mirabili del maestro del Barocco romano, recuperata
sul mercato antiquario in virtù della sensibilità e dell'intuito
critico di un grande studioso, si presenta oggi nel Museo Martinelli del Palazzo
della Penna all'attenzione del pubblico e degli specialisti come una delle sculture
di maggiore interesse, futuro campo di proficue indagini.
Negli ultimi anni della sua vita Valentino Martinelli aveva acconsentito a presentare
alcune opere rare della sua collezione di scultura che ponevano problemi tecnici
e critici di non facile soluzione, ma proprio per questo affascinanti e sui
quali amava personalmente interrogarsi e confrontarsi con altri studiosi, fossero
- questi ultimi - giovani storici dell'arte o notissimi specialisti a livello
internazionale.
Campi di indagine mai prima delineati dagli studi cominciavano ad emergere anche
in ragione degli accurati restauri ai quali aveva sottoposto alcune sculture.
Due rarissime cartapeste berniniane e algardiane dell'Anima dannata e della
Maddalena in estasi, acquistate sul mercato antiquario in uno stato di conservazione
che ne alterava alla radice l'aspetto originario, erano state oggetto di un
raffinato intervento di recupero curato da Carlo Stefano Salerno e in seguito
furono rese note nel 1997 sul "Bollettino d'Arte" in un innovativo
saggio dello stesso giovane studioso, valente restauratore e storico dell’arte
16. Allo stesso tempo un modello in terracotta per un medaglione a rilievo con
il profilo di papa Clemente X Altieri, restaurato dallo stesso Salerno, era
stato presentato da Eleonora Villa, insieme ad un importante medaglione a rilievo
in bronzo dorato di papa Altieri della stessa collezione, in un bel saggio pubblicato
nel volume L'Ultimo Bernini, curato dallo stesso Martinelli nel 1996 17.
Nell'ambito di due scritti dedicati dallo studioso nello stesso volume all’Ultimo
crocifisso del Bernini e alla "Imago Christi" secondo Bernini 18,
frutto maturo di anni di riflessioni, densi di novità e suggerimenti,
Martinelli presentava ancora tre esemplari della sua collezione: il Cristo vivo
e il Cristo morto in bronzo dorato (quest'ultimo recuperato ad un'asta Christie's
di Londra, ma proveniente dalla collezione romana del compianto Marc Worsdale),
riconosciuti come esemplari "fuori serie" dei crocifissi ideati tra
il 1657 e il 1659 da Gian Lorenzo Bernini per i corredi degli altari chigiani
della basilica vaticana, e un raro bronzo dorato di un Cristo coronato di spine,
giudicato un'inedita variante elaborata dal maestro e dai suoi collaboratori
sul tema del crocifisso con il Cristo morto del 1657-1660.
Ricordo infine la rara e ben conservata terracotta raffigurante la Vergine con
il Bambino e santa Martina che Jennifer Montagu ha avuto la possibilità
di studiare e presentare nel 1997 come modello per uno dei rilevi in alabastro
del ciborio dell'altare nella cripta della chiesa romana dei Santi Luca e Martina,
eseguito da Cosimo Fancelli su disegno di Pietro da Cortona 19.
Come ha generosamente suggerito Francesca Martinelli, il medaglione in bronzo
dorato con il profilo di papa Altieri, attribuito da Eleonora Villa a Gian Lorenzo
Bernini e Gerolamo Lucenti, e il modello di Cosimo Fancelli e Pietro da Cortona
si uniranno al primo importante nucleo della donazione Martinelli come deposito
al Museo del Palazzo della Penna.
Quasi a voler delineare in nuce i futuri percorsi di ricerca intorno alle opere
della sua raccolta non ancora rese note, ma già da tempo desti nate ad
essere presentate al meglio all'interno di una collezione pubblica, il professor
Martinelli aveva raccolto nei suoi dossier, ove possibile, documenti riguardanti
la provenienza, l'acquisto, le relazioni di restauro e la relativa documentazione
fotografica, articoli, fotografie di confronto, expertises richiesti a noti
specialisti italiani e stranieri, appunti riguardanti conversazioni avute con
studiosi o sue brevi considerazioni critiche. In ultimo aveva redatto per ciascuna
opera delle essenziali schede di riferimento, chiaramente destinate ad accompagnare
la sua donazione.
Esemplare, in proposito, il caso dell'inedito bozzetto in terracotta per il
Monumento equestre a Luigi XIV (fig. 8), di più recente acquisizione,
presentato al pubblico per la prima volta nel presente catalogo. Attribuito
da Valentino Martinelli a Gian Lorenzo Bernini nella scheda di riferimento della
sua collezione, era stato sottoposto ai primi degli anni Novanta a due ravvicinate
campagne di restauro che non avevano, a suo giudizio, risolto a pieno alcuni
dubbi sulla corretta riproposizione di alcuni frammenti. Nel contempo aveva
raccolto nel suo dossier una notevole quantità di materiale storico-critico
e un'ottima documentazione fotografica, ma l’opera era ancora al centro
delle sue riflessioni - come mi ha confermato la moglie Francesca - e queste
ultime non erano giunte a quell’esemplare grado di completezza che esigeva
dai suoi scritti.
Questo materiale, pazientemente raccolto negli anni, risulta oggi di fondamentale
importanza per chiunque si accinga alla non facile impresa di studiare le opere
della sua collezione e prefigura, al tempo stesso, il modello ideale di documentazione
che ogni opera conservata in un Museo dovrebbe avere.
A questa sistematica raccolta di notizie documentarie (che farebbe la felicità
di qualsiasi giovane conservatore di Museo), Valentino Martinelli ha voluto
generosamente unire la sua biblioteca, ricca di centinaia di titoli di monografie,
riviste e cataloghi di mostre, alla quale ci auguriamo possa presto unirsi la
sua fototeca specializzata (si tratta di centinaia di fotografie di opere note
o inedite, dietro le quali sono spesso appuntati a matita commenti e notizie
critiche di suo pugno).
Anche il generoso dono della biblioteca è una precisa indicazione di
metodo per l'impostazione del nuovo Museo Martinelli che i futuri conservatori
sapranno valorizzare al meglio.
Il Museo è infatti, nella sua migliore proposizione, un organismo vitale,
un luogo di tutela e valorizzazione delle opere esposte, ma anche di studio,
in piena comunicazione con gli altri Musei, con 1’Università e
i centri della ricerca internazionali. Insieme alle opere, presentate al pubblico
in un percorso espositivo che ne faciliti la lettura critica e l'apprezzamento,
il Museo dovrà rendere pienamente fruibile il suo archivio documentario,
la sua biblioteca e, in un prossimo futuro, la ricchissima fototeca, e divenire
un luogo ideale dove le nuove generazioni di studiosi si potranno formare.
È in questo compiuto contesto metodologico delineato nelle sue disposizioni
testamentarie che acquista un preciso significato la borsa di studio annuale
destinata da Valentino Martinelli ai giovani ricercatori che vorranno approfondire
temi legati all’arte barocca. Un modo speciale per invitare i più
giovani a intraprendere la strada dell'impegno intellettuale e della ricerca
nel campo della storia dell’arte perché ne facciano, a loro volta,
ragione di vita, a garanzia della trasmissione al futuro del nostro patrimonio
artistico.
Nel redigere le schede di catalogo delle opere di scultura della donazione Martinelli
ho fatto tesoro del prezioso materiale critico, documentario e fotografico raccolto
dal professor Martinelli nei dossier della sua collezione. Francesca Galante
Martinelli ha facilitato in ogni modo le mie ricerche, of¬ frendomi la sua
generosa ospitalità e la sua amicizia. Con grande pazienza, e per lunghi
mesi, ha messo a mia piena disposizione le opere in corso di studio, dandomi
un concreto aiuto per orientarmi nella vasta mole del materiale storico-critico
raccolto dal marito e riordinato con competenza anche grazie al suo impegno.
Da molte nostre conversazioni e da suoi ricordi ho tratto spunti fondamentali
per il mio lavoro. Devo molto anche alle conversazioni avute con Carlo Stefano
Salerno, che qui ringrazio per la generosità e liberalità con
le quali ha condiviso le sue esperienze di restauratore e storico dell'arte.
Alfredo Marchionne Gunter mi ha agevolato nella ricerca di articoli e testi
della biblioteca Martinelli. Daniela Gallavotti Cavaliere e Francesco Federico
Mancini, con competenza, impegno e passione, hanno reso possibile la realizzazione
di questo volume.
Note
1 M. Fagiolo dell'Arco, Un secolo di studi, in M. Fagiolo dell'Arco
O. Ferrari, La scultura barocca: introduzione, in "Storia dell’Arte",
90, 1997, pp. 147-150, in part. pp. 148-150.
2 V. Martinelli, Alcune opere inedite di Francesco Mochi in
"Arti Figurative", II, 1946, 1-2, pp. 72-77; Idem, Contributi allu
scultura del Seicento, I. Francesco Mochi a Roma, in "Commentari",
II, 1951, pp. 224-235; Idem, Contributi alla scultura del Seicento. II. Francesco
Mochi a Piacenza, in " Commentari", III, 1952, pp. 35-43.
3 V. Martinelli, Alcune opere inedite di Francesco Mochi, in
"Arti Figurative", li, 1946, 1-2, pp. 72-77; P. Della Pergola, Per
Francesco Mochi, in "Arti Figurative", 11, 1946, l-2,pp. 78-80.
4 I. Lavin, Duiquesnoy's "Nano di Crequì"
and Two Busts by Francesco Mochi, in 'The Art Bullettin", LI1, 1970, pp.
132-149; M. De Luca Savelli, Busto di Antonio Barberini, in Francesco Mochi
1580-1654, ca¬ talogo della mostra, a cura di M. Gregori, Firenze 1981,cat.
n.21,pp. 77-78.
5 Per il Battesimo di Cristo si rimanda a V. Martinelli, Un
capolavoro recuperato: il Battesimo dii Cristo dì Francesco Mochi, in
"Bollettino dei Musei Comunali di Roma", III, 1956, pp. 48-59; per
un profilo del suo contributo alla valorizzazione di opere sotto la tutela della
Sovraintendenza al Comu- ne di Roma si veda E.B. Di Gioia, Ricordo di Valentino
Martinelli, in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", n.s., 2000,
pp. 140-145; per le opere di Francesco Mochi al Museo di Roma si rimanda a E.B.
Di Gioia, Le collezioni di scultura del Museo di Roma. Il Seicento, Roma 2001,
cat. nn. 2 e4,pp. 39-48, 62-71.
6 V Martinelli, Le pitture di Bernini, in "Commentari",
1, 1950, pp. 95-104; Idem, I disegni del Bernini, in Commentari", I, 1950,
pp. 172-186, riproposti in V. Marti- nelli, Gian Lorenzo Bernini e la sua cerchia.
Studi e contributi Ì950-1990, Università degli Studi di Perugia,
Napoli 1994, pp. 11-46.
7 V Martinelli, Premessa. in Gian Lorenzo Bernini e la sua
cerchia. Studi e contributi (1950-1990), Napoli 1994, p. 7.
8 La citazione è tratta da V. Martinelli, Bernini (I
ed., Milano 1953), Milano 1979, Premessa, pp. 7-8.
9 M. e M. Fagiolo dell’Arco, Bernini, Una introduzione
al "gran teatro del Barocco ", Roma 1967; M. Fagiolo dell’Arco
- S. Carandini, L'Effimero Barocco. Struttura della festa nella Roma del Seicento,
voll. I-II. Roma 1977-1978; M. Fagiolo dell’Arco, Bibliografia della festa
Barocca a Roma, Roma 1994; M. Fagiolo dell’Arco, Corpus delle feste a
Roma. I. La festa barocca. Roma 1997, M. Fagiolo (a cura di). La festa a Roma
dal Rinascimento al 1870. Atlante, cata- logo della mostra, voll.1-11, Roma
1997.
10 La citazione è tratta da V Martinelli. Bernini, I
ed., Milano 1953, p. 10.
11 V Martinelli, Pietro Bernini e figli, in "Commentari",
IV, 1953,pp. 133-154; Idem,
Capolavori noti ed ignoti del Bernini: i ritratti dei Barberini, di Innocenzo
X e di Alessandro VII, in "Studi Romani", III, 1, 1955, pp. 32-52;
Idem, I busti berniani di Paolo V, Gregorio XV e Clemente X, in "Studi
Romani, III, 6, 1955, pp. 647-666; Idem, Il busto di Urbano VIII nel Duomo di
Spoleto, in "Spoletium", I-II, 1954-1955, pp. 43-49; Idem, Novità
berniniane: 1. Un busto ritro¬ vato: la madre di Urbano VIII; 2. Un Crocifisso
ritrovato?,in "Commentari" VII, 1956, pp. 23-40 (riproposti in Martinelli,
1994, pp. 79-159); V Martinelli, I ritratti di pontefici di Gian Lorenzo Bernini,
Roma 1956.
12 Per le sculture citate si vedano: O. Ferrari - S. Papaldo,
Le Sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, pp. 492-493, 494, 497; O. Ferrari,
in M. Fagiolo dell'Arco - M.G. Bernardini (a cura di), Gian Lorenzo Bernini
regista del Barocco, catalogo della mostra, Ginevra-Milano 1999, cat. n. 56,
pp. 541-542; F. Petrucci, ivi, cat. n. 60, pp. 345-346, con bibliografia precedente.
13 Per il suo apporto alla storia dell'arte contemporanea e
alla critica d'arte si rimanda al contributo di Daniela Gallavotti Cavallero
nel presente volume.
14 I contributi citati sono presen-tati in ordine cronologico:
V. Martinelli, Due modelli di Camillo Rusconi ritrovati, in "Commentari",
IV, 1953, pp. 231-241; Idem, Una scultura di Federico Zuccari, in "Capitolium",
XXIX, 1954, pp. 39-46; Idem, Flaminio Vacca scultore e antiquario romano, in
"Studi Romani", II, 1954, pp. 154-164; V. Martinelli - C. Pietrangeli,
Cataloghi dei Musei Comunali, La Protomoteca Capitolina, Roma 1955; V Martinelli,
Le prime sculture di Camillo Mariani a Roma, in "Atti del XVIII Congresso
di Storia dell'Arte di Venezia", 1955, Venezia 1957, pp. 309-311 ; Idem,
Cristoforo Stati e il gruppo di "Venere e Adone", in "Rivista
d'Arte", IX, 1958, pp. 3-24; Idem, La scultura in Italia, in Il Seicento
Europeo, catalogo della mostra, Roma 1956, pp. 51-59, 246-276; Idem, Settecento
inedito: un modello di An- gelo de ' Rossi per la statua di Alessandro VIII
Ottoboni in S. Pietro, in "Studi Roma ni", VII, 1959, pp. 429-437;
Idem, Contributi alla scultura del Seicento: Andrea Bolgi a Roma e a Napoli,
in "Commentari", X,
1959, pp. 137-158; Idem, Un modello dì creta" di Francesco Fiammingo,
in "Commentari", XIII, 1962, pp. 113-120; Idem, Novità berniniane:
4. "Flora " e "Priapo"," i due termini gin nella Villa
Borghese a Roma, in "Commentari", XIII, 1962, pp. 267- 228; Idem,
Un 'opera di Domenico Pieratti nel Palazzo Barberini a Roma, in Scritti in onore
di Mario Salmi, III, Roma 1963, pp. 263-273; Idem, Scultura italiana dal Ma-
nierismo al Rococò, Milano 1968; Idem, I Un bozzetto in terracotta di
Filippo della| Valle per una statua di Clemente XII Corsini, in "Bollettino
dei Musei Comunali di Roma", XVI, 1969, 1-4, pp. 1-12.
15 V Martinelli, Una scultura inedita del•|| Bernini:
un "Christo ligato " di creta cotta, in Gian Lorenzo Bernini e le
arti visive, atti del convegno, a cura di M. Fagiolo, Roma 1987, pp. 91-112;
per l’opera si rimanda nel presente catalogo alla scheda n. 17.
16 C.S. Salerno, "Cartapeste d'autore" berniniane
e algardiane. Contributo (alla storia, alla tecnica e al restauro della cartapesta
nelle botteghe rinascimentali e barocche, in "Bollettino d'Arte",
99, 1997, pp. 67-98; per le cartapeste citate si vedano nel presente catalogo
il saggio di Salerno e le schede nn. 16 e 21.
17 E. Villa, Un episodio sconosciuto della ritrattistica dei
'600: Clemente X, Bernini,Gaulli e altre novità sulla committenza Rospigliosi,
Altieri e Odescalchi, in V. Marti- nelli (a cura di), L'ultimo Bernini, 1665-16SO.
Nuovi argomenti, documenti e immagini. Roma 1996, pp. 139-159; si vedano ancora
nel presente catalogo le osservazioni di Salerno alle pp. 51 e ss. e le schede
nn,'104-105.;
18 V Martinelli, L'ultimo crocifisso del Bernini, in V Martinelli
(a cura di), L'ultimo Bernini, 1665-1680. Nuovi argomenti, documenti e immagini,
Roma 1996, pp. 163- 179; Idem, La "Imago Chrisfi" secondo Bernini.
Costanti e varianti tipologiche e formali, ivi, pp. 182-231.
19 J. Montagu, in Pietro da Cortona. 1597- 1669, catalogo della
mostra, a cura di A. Lo Bianco, Milano 1997, n. 97, p. 441 e ivi bibliografia
precedente; O. Ferrari - S. Papaldo, Le Sculture del Seicento a Roma, Roma 1999,
pp. 192-193; si veda ancora nel presente catalogo la scheda n. 20.