Sommario

13 La "Collezione Valentino Martinelli": dalla casa al museo
Francesco Federico Mancini

31 Una vita di studio
Daniela Gallavotti Cavallero

37 Valentino Martinelli e la scultura barocca romana.
Le ragioni di un collezionista
Elena Bianca Di Gioia

47 Valentino Martinelli e il restauro
Carlo Stefano Salerno

Catalogo

57 Dipinti

69 Sculture

123 Disegni

135 Incisioni

163 Medaglie

175 Medaglioni

181 Oggetti di culto

Apparati

187 Bibliografia

196 Indice dei nomi e dei luoghi

204 Indice iconografico

205 Indice degli artisti e delle manifatture



La “Collezione Valentino Martinelli”: dalla casa al museo
Francesco Federico Mancini

"Chi ha una raccolta di quadri, antichi e moderni, piccola o grande che sia - scriveva Valentino Martinelli nel 1964, recensendo una mostra di grafica allestita nella Galleria Battaglia di Roma - ricorda con emozione il giorno della prima conquista, fatta con passione e con timore insieme: un disegno a penna o a carbone, a sanguigna o a colori. Un foglio di carta di pochi centimetri ma autentico, di un autore, di un artista per cui si sente una simpatia particolare, una consonanza spirituale, per cui si compie il ‘sacrificio’ finanziario, si impegna per la prima volta una piccola cifra per possederlo, per averlo vicino, in casa, per sempre. E poi viene il desiderio di qualche altro disegno, di qualche stampa e poi ancora delle pitture a olio e delle sculture che richiedono, oltre che maggiori possibilità finanziarie, un ambiente idoneo, una preparazione culturale, se non una competenza specifica. Così si diventa collezionisti, così si entra nel giro delle compere, delle vendite, trascinati da continue tentazioni, occasioni, offerte, oggi più che mai abbondanti e frequenti..." 1. Queste note, dettate da chi, proprio in quegli anni, si adoperava per incrementare, con acquisti sempre più impegnativi e selezionati, la propria collezione d'arte, assumono il valore di una precisa testimonianza autobiografica. Più volte Martinelli mi confessò, nel corso della nostra lunga frequentazione, di essersi sentito trascinare dal desiderio di possedere un'opera d'arte, specie se il reperimento della stessa gli era sembrato un segnale della sorte. Trovava incredibile che un oggetto d'arte, rimasto per lungo tempo nell'ombra, reclamasse d'improvviso l’incontro con chi lo avrebbe "riscoperto", restituendolo alla pienezza della luce. Fu così che Martinelli, assecondando quello che lui stesso considerava un misterioso e inspiegabile "tropismo positivo", entrò in possesso di molte, importanti opere. Lentamente mise insieme una prestigiosa collezione, rappresentativa dei principali filoni di studio da lui coltivati. Tale aspetto non va sottovalutato se vogliamo comprendere nei giusti termini l’azione collezionistica di Martinelli il quale - è bene sottolinearlo - non acquisì mai opere e oggetti per soddisfare il piacere di un accumulo onnicomprensivo e generico (per non dire "di arredamento") ma operò scelte e selezioni in tutto coincidenti coi suoi interessi di studio 2. Il momento collezionistico era sempre per Martinelli l'inizio di un emozionante percorso di ricerca, portato avanti con metodico impegno e incessante entusiasmo. Ricordo con piacere e gratitudine (si trattava, in fin dei conti, di straordinarie, irripetibili lezioni di metodo) le sue pacate e profonde discussioni intorno a quadri, sculture e disegni sapientemente distribuiti in ogni stanza della sua casa romana; casa che aveva il fascino di uno stimolante "laboratorio" dove era possibile avvicinare le opere d'arte fino a toccarle o a prenderle tra le mani per saggiarne il peso e la consistenza, per valutarne aspetti e caratteristiche non facilmente apprezzabili a distanza. Martinelli ne era lieto, anzi incoraggiava i suoi ospiti ad avere un contatto fisico con le opere, ben sapendo che uno studio "ravvicinato" era di fondamentale importanza per formulare un serio e motivato giudizio di qualità. Gli piaceva conoscere il parere degli altri, apprezzava la sincerità dei suoi interlocutori, non temeva opinioni diverse dalle sue, anzi era lieto di aprire un amichevole contraddittorio con persone che godevano della sua stima scientifica; era pronto a mettere in discussione le proprie idee se riconosceva la fondatezza di pareri non collimanti coi suoi. Meravigliosa cornice di queste lunghe e garbate discussioni, che spesso si protraevano fino a notte inoltrata, era proprio la casa-museo di via del Banco di Santo Spirito, perfetta proiezione della personalità di Martinelli che amava avere con l’arte un rapporto non solo teorico. Nella testimonianza di Carlo
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Stefano Salerno, pubblicata in questo stesso volume, leggiamo che il professore, ponendosi di fronte a una o più sculture della sua collezione, rifletteva a lungo sui metodi di lavoro e sui procedimenti tecnici adottati nelle botteghe barocche, sulla funzione dei modelli, sulle tecniche di fusione, sulla politura dei marmi, sull'uso dei "legnetti", sulla rinettatura dei bron¬ zi. "Era questo - scrive Salerno - un modo per entrare più da vicino nelle botteghe degli artisti, per cogliere i criteri adottati nella organizzazione e nella divisione del lavoro, per valutare la presenza degli allievi o della scuola" 3. L’interesse di Martinelli per gli aspetti materici, costituitivi dell’opera d'arte non era mai subordinato alla critica delle forme o all'analisi degli stili. Possiamo citare, a titolo di esempio, il passo di un articolo del 1987, dedicato all'oggetto più prestigioso della sua collezione, il "Cristo ligato" di Gian Lorenzo Bernini. "Da tempo ho segnalato quale cosa inedita una scultura che da circa venti anni, per varie ragioni ho tenuto come in serbo, segnalandola agli amici, o esaminadola insieme ad alcuni studiosi fra i più qualificati colleghi, italiani e stranieri. I loro pareri mi hanno convinto che è questo il momento migliore per presentarla agli studiosi per un esame critico obiettivo, per una valutazione serena [...]. La terracotta, alta circa cm. 42, è di una fattura più che "finita" e in buone condizioni (nel 1980 una semplice pulitura è stata compiuta con molta cura da Eliseo Zorzetto dell'Istituto Centrale del Restauro di Roma). Rappresenta un Cristo seduto, ma senza colonna; si potrebbe quindi dire meglio che Cristo legato, con le mani strette da una cordicella, seduto su un cippo sagomato collocato ad angolo, con lo spigolo sporgente tra le gambe divaricate, ruvido come un basamento marmoreo, gradinato, in bel contrasto con il morbidissimo modellato del corpo. La superficie scabra di quel cippo d'angolo è resa in terracotta con l'uso tipicamente berniniano della stecca dentata all'esterno (come pure nel retro, all’interno), sì da simulare con rigature parallele la roccia marmorea gradinata; nel caso specifico, implicitamente, simbolo per il credente di Gesù roccia-sostegno e della 'pietra angolare' fondamento della Chiesa di Cristo (in piena analogia con la pietra tombale della Deposizione caravaggesca, allora alla Chiesa Nuova) [...]. È un'opera compiuta e complessa nella varietà dei punti di vista, cioè nella pluralità delle vedute, concepita secondo la maniera berniniana di un rap¬ porto dialettico tra le membra tornite della figura serpentinata e il giro ampio del panneggio; bellissimo è il mantello dalle pieghe fonde, dagli occhielli larghi, con chiazze di luce e ombra e giochi raffinati di colore (la terracotta presentava anche una coloritura, se non originale certamente molto antica, che non è stata rimossa ma lasciata in quelle poche parti in cui ancora sussiste)"4. L'analisi stilistico-formale non è disgiunta, come si vede, da un attento studio degli aspetti tecnici e materiali, ritenuti giustamente da Martinelli parte integrante del momento creativo. La messa a punto di questo metodo di lavoro, coerentemente applicato nei suoi innumerevoli scritti, appare già in un articolo del 1950 dove lo studioso, per sostenere l'attribuzione al Sacchi di una tela conservata in Palazzo Barberini a Roma, fa ricorso alle seguenti argomentazioni: "... A questa del Bernini fa da 'pendant' una tela simile, purtroppo in cattivo stato di conservazione, con due teste di santi, S. Antonio abate e S. Francesco, anch'essa rimasta sinora sconosciuta a Palazzo Barberini e che, a colpo d'occhio, appare come una delle cose più tipiche del Sacchi. Un'osservazione diretta dei dipinti dimostra immediatamente e con piena evidenza che le due pitture, nonostante le affinità, sono sostanzialmente ben differenti l'una dall’altra: diverse sono le tele - dalla grana grossa e rilevata quella del Bernini, dalla tessitura minuta e compatta l’altra - diversa ne è la preparazione e soprattutto, per non scendere ad altri particolari, la coloritura: nella prima predomina una intonazione rossiccia, mentre nella seconda è invece diffusa una tonalità più spenta sul giallo-bruno. La testa del S. Antonio (quella di S. Francesco è in gran parte e più dell'altra appiattita dalle ossidature della vernice e offesa dalle cadute del colore), che risalta sul fondo scuro, è di una squadratura formale consueta al Sacchi, fatta di un sottile articolarsi del colore, che pur costruendo solide forme definisce i particolari con pittorica libertà ..."5.
Ancora più esplicito è il passo in cui Martinelli, per assegnare definitivamente al Bernini il dipinto raffigurante gli apostoli Andrea e Tommaso, anch'esso in Palazzo Barberini, istituisce un confronto con il ritratto giovanile della Galleria Borghese: "Ma un confronto utile sarà quello tra il S. Tommaso e il Ritratto giovanile della Borghese, attribuito, non senza dub¬ bio, al Bernini. In ambedue le teste attraggono sotto la fronte spaziosa e luminosa, da cui si stacca il naso lievemente ricurvo, i due occhi fortemente espressivi su cui si apre l'ampio arco delle sottili sopracciglia. Simili sono gli zigomi un poco sporgenti e il morbido affinarsi delle guance presso la bocca e le labbra umide appena schiuse al respiro, come la folta massa di capelli castani aggruppati in mosse ciocche falcate fin sopra le orecchie. Nelle due teste che risaltano su fondo scuro (verde cupo nel-l’ Autoritratto e grigio ferro nel S. Tommaso), la fattura dei piani facciali è affidata a pennellate brevi e avvolgenti di un rosa giallo nel l'incarnato, più fitte e dense (ma non da impedire che si scorga qua e là la grossa grana della tela) di un bianco avorio sulla fronte e lungo il dorso del naso, fin sulla punta toccata da più vivace macchia di colore. Lievi ombre grigiastre si addensano invece nella cavità delle orbite, sfumando lungo la parete del naso, nelle nari, per farsi ancora più morbide intorno alle mascelle e al collo, sì che le due teste sembrano emergere improvvise dalla penombra: quella del Bernini con lo sguardo squillante, come il bianco bulbo dei suoi occhi; quella del S. Tommaso invece con le labbra semiaperte in un respiro affannoso, gli occhi torbidi, stanchi, carichi di troppi dubbi tormentosi, nell’ansia di verità e di pace”6.
Che Martinelli considerasse fondamentale non limitare l’esame delle opere al solo aspetto esteriore, trovando metodologicamente improprio prescindere da un approfondito e diretto contatto con gli oggetti, appare chiaro dallo spoglio di alcuni dossier tuttora conservati negli scaffali del suo studio romano. Tali dossier,recentemente riordinati da Francesca Galante Martinelli, che si è prodigata per rendere consultabile il prezioso archivio del marito, riuniscono appunti, lettere di studiosi, ricostruzioni grafiche, relazioni di restauro e risultati di esami diagnostici relativi a sculture e dipinti studiati da Martinelli in un vasto arco cronologico.
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Alla fine degli anni Ottanta il professore cominciò a pensare al futuro della sua collezione. Era solito affrontare l'argomento nel rilassante contesto estivo dell'hotel Michelangelo di Chianciano Terme, dove ogni anno si rifugiava per trovare concentrazione e ristoro. Più volte, nell'ombra del parco che le resine dei pini rendevano profumata, mi parlò dei progetti che aveva in mente, chiedendomi consigli e invitandomi a pensare. Dovetti prendere atto che non si trattava di un semplice "pour parler", quando un giorno mi annunciò, con solennità mista a commozione, di voler donare, alla sua morte, gli oggetti migliori della sua collezione a una pubblica istituzione che sapesse amarli e apprezzarli come lui aveva fatto in vita. Gli chiesi con qualche esitazione, considerando lontana tale eventualità, quale fosse, a suo parere, l'istituzione più adatta a raccogliere l’importante lascito. con sorpresa mi sentii rispondere che il suo gesto voleva assomi gliare a quello di Consilia Pascoli. Capii immediatamente il senso della risposta, visto che, proprio in quei giorni, dovendo occuparmi della pinacoteca di Deruta, ero alle prese col testamento di Consilia. Ultima erede della famiglia che aveva dato i natali all'illustre collezionista e storiografo d'arte Lione Pascoli (Perugia 1674 - Roma 1744), essa aveva stabilito (1931) che la sua importante collezione d'arte, costituita da una quarantina di pezzi fra cui opere di guido Reni, Baciccio,Trevisani,Van Bloemen "Stendardo", Ciccio Napoletano, Sebastiano Conca, Marco Benefial, Giovanni Paolo Panini, Antonio Amorosi, Placido Costanzi e Cristofero Gasperi, passasse al comune di Deruta a due sole condizioni: che le venisse riconosciuta, vita natural durante, una pensione annua di 1200 lire e che le fosse assegnato un loculo nel camposanto cittadino"23. Il gesto di Consilia, disposta a cedere la sua importante raccolta in cambio di un risarcimento simbolico, ma soprattutto a patto che il comune di Deruta provvedesse alla conservazione delle opere a lei appartenute "con tutte quelle precauzioni che sono richieste per la tutela e la salvaguardia del patrimonio artistico nazionale", era il modello su cui martinelli aveva a lungo riflettuto. Conosceva perfettamente, per essersi occupato di Lione Pascoli scrittore d'arte (è appena il caso di ricordare le edizioni critiche, da lui promosse e coordinate, delle Vite de' pittori scultori ed architetti viventi e delle Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni24), la pinacoteca di Deruta e i quadri, di provenienza pascoliana, in essa conservati. Trovava che il suo spirito collezionistico avesse forti affinità con quello dell'abate perugino e condivideva pienamente ciò che io avevo scritto nell’ introduzione al catalogo della pinacoteca di Deruta: "... Una conferma della consapevolezza con cui il Pascoli elabora le proprie idee viene proprio dall’ esame della sua collezione, costruita con criteri assolutamente rispondenti alle sue convi-zioni teoriche ..."25. Mi resi conto che Martinelli aveva concretamente va lutato la possibilità di donare la sua collezione al comune di Deruta quando mi chiese di invitare il sindaco della cittadina umbra alla presentazione dell'edizione critica delle Vite de'pittori, scultori ed architetti moderni, straordinario lavoro di gruppo che aveva riunito gli sforzi di tutti coloro che erano stati suoi allievi o che avevano approfittato, a vario titolo, della sua ampia e generosa competenza scientifica. Teneva molto a questo lavo ro, che nasceva dalla fatica congiunta di ben quarantaquattro studiosi i quali, essendosi formati con lui o accanto a lui, avevano assimilato il suo rigoroso metodo di ricerca e la sua fine sensibilità critica26. "Ringrazio af fettuosamente tutti - scrisse Martinelli nell’intervento introduttivo - i cari colleghi ed amici delle Università di Roma, di Perugia e di Messina, per la tanto gradita partecipazione. E mi rallegro con i giovani studiosi, a me più vicini, per l'intesa solidale e la cura rigorosa bene attuate nella realizzazione di quest’ opera veramente collegiale, se non di scuola. Sono loro che mi accompagnano da tanti anni, nel lungo arco della mia vita universitaria, sempre con amichevole fervore per le nuove ricerche, per nuove pub blicazioni su opere e artisti, su valori e significati dell’'universo barocco', del quale Lione Pascoli fra Perugia e Roma fu nel primo Settecento testimone e interprete illuminato"27. I successivi contatti con l'amministrazione comunale di Deruta, lieta di dare al progetto tutto il sostegno necessario, convinsero il professore a muoversi in tal senso. Cosi, nella prima redazione testamentaria, stilata il 16 maggio 1994, stabili che le opere d'arte della sua collezione fossero "in tutto o in parte destinate, come 'fondo V. Martinelli', in una sala attigua al 'fondo L. Pascoli', della costituenda pinacoteca della città di Deruta in Umbria; in collegamento, se possibile, in forma da stabilire, con l'Istituto di Storia dell'Arte e la Facoltà di Lettere dell'Università di Perugia". In cambio chiedeva "un importo, sia pure ridotto, da destinare ad un atto di assistenza e beneficenza [...] anche nell'ambito della stessa struttura cittadina, con soddisfazione e utilità comuni"; chiedeva inoltre garanzie affinchè le opere donate fossero "protette dai consueti vincoli di buona sistemazione, tutela, libera visita e catalogo a stampa". Nei mesi che seguirono Martinelli tornò più volte sull'argomento, sottoponendomi dubbi e perplessità. La scelta di escludere dal lascito enti o istituzioni romane era scaturita dalla riflessione che una grande realtà, come quella di Roma, avrebbe accolto senza grandi emozioni il munifico gesto; sarebbe stata - mi diceva - "una goccia nel mare". La decisione di trasferire la raccolta in un piccolo centro offriva invece, a suo parere, tutte le garanzie perché la cosa acquistasse diversa "visibilità" e utilità; mi confessò, tuttavia, di non riuscire a superare il timore che una collocazione decentrata avrebbe potuto limitare la fruizione e le potenzialità didattico-formative della sua raccolta: aspetto, questo, che era in testa ai suoi pensieri e che apparteneva alla sua etica di docente sempre pronto a favorire e a stimolare la crescita culturale dei giovani. Fu cosi che abbandonò, sia pure a malincuore, il proposito di destinare la collezione alla pinacoteca comunale di Deruta. Ci consigliammo su altre possibili soluzioni, vagliammo diverse ipotesi, prendemmo nuovi contatti. Quando Martinelli venne a sapere che il comune di Perugia stava lavorando per trasformare Palazzo della Penna in un dinamico polo espositivo connesso con il sistema museale umbro mi chiese di approfondire la questione e di valutare se i progetti, che un'apposita commissione era in procinto di varare, potessero tener conto della sua proposta. L'amministrazione comunale di Perugia si affrettò a rispondere che l'idea non solo era compatibile con la prospettiva di fare del palazzo un centro aggregativo di rilevanti "eventi culturali", ma anche con l'aspirazione di restituire all’edificio, che fino al 1875 aveva accolto una delle più grandi e prestigiose raccolte d'arte della città, una dimensione prevalentemente espositiva. Tale consapevolezza era maturata anche a seguito dello studio che un gruppo di lavoro, coordinato da Enrico Guidoni, dell'Università di Roma, e dal sottoscritto, aveva effettuato sul palazzo, evidenziando l’importante ruolo politico, sociale e culturale svolto dalla famiglia della Penna nella storia perugina del tardo Settecento e del primo Ottocento. In quella occasione era stato effettuato anche uno studio sulla storica collezione dei della Penna, collezione che, stando a un inventario del 1826, redatto dal grande intenditore d'arte Jean Baptiste Wicar, comprendeva, fra l'altro, opere di Giorgione, Tiziano, Dossi, Barocci, Zuccari, Carracci, Guercino, Salvator Rosa, oltre a una splendida tavola del Perugino acquistata dal barone Fabrizio della Penna nel 1821, ma purtroppo venduta dagli eredi, nonostante il vincolo di ina¬ lienabilità, nel 1878 (oggi si trova nella National Gallery di Londra). Tutto questo per dire che la proposta di Martinelli andò a "incastrarsi", senza alcuna forzatura, nei progetti dell'amministrazione comunale; tanto che nelle pagine introduttive al volume su Palazzo della Penna, pubblicato nel settembre 1999 per rendere noti i risultati della ricerca, Guidoni e io scrivemmo: "... Se abbiamo insistito nella ricostruzione di questa vicenda collezionistica è perché auspichiamo che Palazzo della Penna torni a svolgere la funzione di attivo polo culturale della città, divenendo sede di un museo o, ancora meglio, di un 'palazzo della cultura', in grado di accogliere opere in esposizione permanente, mostre finalizzate alla migliore conoscenza del patrimonio artistico cittadino, manifestazioni e incontri di alto profilo culturale; una struttura come questa, specie se modernamente organizzata e intelligentemente gestita, potrebbe costruttivamente raccordarsi con il sistema museale regionale, mettere a punto un sistema di relazioni capaci di sostenere insieme ricerca e didattica, favorire la circolazione di progetti e di idee, stimolare operazioni di mecenatismo culturale come donazioni di importanti raccolte private, garantendone la piena visibilità e valorizzazione (va detto, a tale proposito, che in tempi recenti non sono mancate offerte e proposte di indubbio interesse)..." 28. Mi avrebbe fatto piacere far leggere queste pagine al professore prima della sua morte, avvenuta il 26 settembre 1999. Purtroppo non arrivai in tempo. Ero certo che avrebbe apprezzato il nostro impegno teso a valorizzare quello che un giorno sarebbe stato il contesto museale della sua collezione.
La decisione di trasferire i pezzi migliori della sua raccolta in Palazzo della Penna a Perugia fu presa da Martinelli il 16 dicembre 1997: "... A modifica totale del punto 5 - si legge in una postilla olografa al testamento - voglio e dispongo quanto segue: tutte le opere d'arte, di cui sopra (salvo qualche eccezione), dopo la mia morte saranno donate, quale 'Donazione della collezione Martinelli', al Comune di Perugia (sede della mia docenza universitaria per più di un decennio) per il Palazzo della Penna, in corso di restauro, per una destinazione prevalentemente museale, con la consulenza scientifica e tecnica del prof. Francesco F. Mancini o di un suo delegato...". Il buon esito dell'operazione era sottoposto alle seguenti, vincolanti prescrizioni: 1) che venisse completato l’inventario da lui stesso iniziato; 2) che venisse effettuata una precisa valutazione dei pezzi; 3) che entro due anni dalla morte la collezione venisse trasferita in Palazzo della Penna ed esposta "nel pieno rispetto delle norme di sistemazione museale" e con la piena consapevolezza "della qualità delle opere donate e della loro singolarità storica e tecnica, anche rispetto alle grandi raccolte pubbliche, perugine ed umbre"; 4) che venisse pubblicato il catalogo scientifico della collezione; 5) che il comune di Perugia istituisse una borsa di studio annuale, a lui intitolata, "per favorire e incrementare lo studio e la ricerca nel campo della storia dell'arte barocca". Il testamento fu pubblicato il 27 ottobre 1999: a quel punto non restava che mettere in atto le volontà di Martinelli, il quale, con questo nobile gesto, aveva concretamente manifestato la natura del suo legame con Perugia, città che, dal 1962 al 1975, lo aveva visto titolare della cattedra universitaria di storia dell'arte medievale e moderna, oltre che attivo esponente della vita intellettuale locale. Quando, effettuati i primi adempimenti testamentari, arrivò il momento di selezionare le opere (il professore mi aveva affidato questa delicata ma gratificante incombenza) potei contare sulla disponibilità, generosità e finezza intellettuale di Francesca Galante Martinelli. A lei la città deve molto per essersi fatta interprete di tutte le volontà del marito, anche di quelle non scritte. La sua fattiva, costante e intelligente collaborazione ha consentito di chiudere le operazioni nei tempi, molto stretti, che Martinelli aveva giustamente indicato. La selezione delle opere è stata fatta privilegiando il filone collezionistico più coltivato da martinelli: quello della scultura barocca in rapporto alla grande personalità artistica di Gian Lorenzo Bernini29. Questo è il motivo per cui, tra le opere selezionate, non figurano, per esempio, le due tele "caravaggesche" di cui abbiamo parlato poco sopra. Il percorso espositivo è stato studiato cercando di ricreare, in modo evocativo, la casa-studio di Via del Banco di Santo Spirito. avendo a disposizione cinque sale del piano primo seminterrato (sappiamo che in antico esse accoglievano la biblioteca dei della Penna), l’esposizione è stata concepita nel modo seguente:
la prima sala (o biblioteca) riunisce i circa mille volumi di arte del sei e settecento che Martinelli ha voluto donare per potenziare la funzione didattico-formativa del "suo" museo;
la seconda sala è dedicata a Gian Lorenzo Bernini, artista che ha occupato ampia parte dell'attività scientifica di Martinelli, già a partire dai primi anni cinquanta "quando gli studi berniniani salvo poche eccezioni ben note - erano ancora poco coltivati, e mille difficoltà rendevano davvero 'pionieristica' l'impresa: musei e collezioni chiuse o semichiuse, bibhoteche e archivi pressoché impraticabili"30. vengono esposte opere autografe di Gian Lorenzo come la magnifica terracotta raffigurante il Christo ligato o l’ intenso Ritratto di Johan Paul Schor. sono presentate anche opere "di contesto" come i due notevoli marmi di Pietro Bernini, padre di Gian Lorenzo, raffiguranti il Cristo coronato di spine e l’ Addolorata, una rara versione in cartapesta dell’Anima dannata, una Testa di Fauno di maniera berniniana, un frammento di Modello per Tritone o Glauco e uno studio accademico a sanguigna di Nudo Inginocchiato che sorregge una conchi- glia. Sono esposte, inoltre, tre copie (una dubitativamente attribuita a Carlo Pellegrini, allievo e collaboratore del Bernini) del cosiddetto autoritratto di Velazquez, oggi conservato nella pinacoteca capitolina. rintracciate da martinelli "per una singolare coincidenza o quasi fatalità", le tre tele testimoniano la fortuna di un modello molto studiato in ambito berniniano e si inseriscono "nel dibattito, forse ancora irrisolto, sulle reciproche influenze e sulle relazioni intercorse fra i due artisti che possono essersi conosciuti al tempo del primo viaggio in Italia dello spagnolo, nel 1629-30, e su quanto l'uno abbia influenzato l'altro"31;
la terza sala è dedicata alla committenza di Gian Lorenzo Bernini. vengo no qui esposti ritratti degli otti papi (in pittura, a rilievo, a stampa o su medaglie) con i quali Bernini ebbe rapporti di lavoro: Paolo V Borghese, Gregorio XV Ludovisi, Urbano VIII Barberini, Innocenzo X Pamphilj, Alessandro VII Chigi, Clemente IX Rospigliosi, Clemente X Altieri, Innocenze XI Odescalchi. Ma vengono presentati anche ritratti di personaggi appartenenti a famiglie che furono in contatto con lo scultore barocco: il Cardinale Taddeo Barberini, nepote di Urbano VIII, il Capitano Mario Chigi, padre di Alessandro VII e del cardinale Flavio, i piccoli Angela e Sigismondo Chigi, figli di Augusto Chigi e Francesca Piccolomini (Sigismondo fu nominato cardinale da Clemente IX a soli diciotto anni di età, nel 1667), il Duca di Bracciano Paolo Giordano Orsini, che Bernini ritrasse in un busto marmoreo conservato nel castello Orsini di Bracciano (da Martinelli attribuito ad Andrea Bolgi). di particolare interesse è la raccolta di medaglie (diciannove, comprese fra il 1626 e il 1676), tra cui anche la bella fusione di Charles Jean Francois Chéron, commissionata da Luigi XIV per il settantaseiesimo compleanno di Gian Lorenzo Bernini (1674); la quarta sala raccoglie opere che illustrano il rapporto tra Bernini e la città di Roma.
L’ organizzazione espositiva ha il suo perno nello straordinario bozzetto di Gian Lorenzo per un monumento equestre a Luigi XIV. Il mo¬ numento, mai realizzato, avrebbe dovuto innalzarsi "sulla collina del Pincio, al centro di una monumentale scalinata segretamente ideata da Gian Lorenzo Bernini intorno al 1660 per volontà del re di Francia e del cardinale Mazzarino come scenografica via d'accesso alla chiesa reale francese della Trinità dalla piazza di Spagna"32. Intorno sono esposte opere (sculture, disegni, incisioni) che illustrano l’ importanza avuta da Bernini nel ridisegnare il volto barocco dell'urbe sia in esterni (Piazza San Pietro, Ponte Sant’ Angelo, Sant’Andrea al Quirinale) che in interni (Basilica di San Pietro). da segnalare due crocifissi in bronzo dorato, eseguiti da Ercole Ferrata, su modello di Gian Lorenzo (1658), per l’ arredo di due altari di San Pietro, e un libro di disegni, della prima metà del Settecento, forse di artista francese, che riproduce le statue del Colonnato di San Pietro; la quinta sala riunisce opere riferibili alla cultura artistica romana del Seicento e del primo Settecento. Il pezzo di maggiore interesse è il modello in terracotta per uno dei bassorilievi in alabastro inseriti nel ciborio dell'altare della chiesa inferiore dei Santi Luca e Martina a Roma. È opera di Pietro da Cortona e Cosimo Fancelli, che in stretta collaborazione progettarono e realizzarono il sontuoso altare. Importante è anche un gruppo ligneo, raffigurante la Madonna Con Il Bambino (o Madonna del Rosario), derivante da uno dei più rinomati bronzetti di Alessandro Algardi; ne è autore Ercole Ferrata, allievo e collaboratore dell’Algardi. Sempre dall’Algardi deriva la Maddalena in cartapesta policroma, molto vicina alla versione in bronzo conservata nella Basilica della Maddalena a Saint Maximin La Sainte Baume. Due disegni con immagini allegoriche, attribuiti a Johann Paul Schor e a Giovan Battista Gaulli, introducono al tema degli apparati effimeri nella Roma barocca, tema al quale si riferiscono anche le incisioni di Giuseppe Vasi dedicate alla celebre festa della Chinea. A conclusione di queste note introduttive vorrei esprimere i mei più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che hanno partecipato, a vario titolo, alla realizzazione del "Museo Valentino Martinelli". ringrazio innanzitutto Francesca Galante Martinelli, che ha seguito con grande impegno tutte le fasi tecniche e organizzative della complessa operazione, che rappresenta uno straordinario arricchimento culturale per la città di Perugia. sono grato anche a Daniela Gallavotti Cavallero, docente di storia dell'arte moderna nell’Università della Tuscia e stretta collaboratrice di Martinelli negli ultimi anni della sua docenza romana, e ad Elena Bianca di Gioia, funzionario direttivo della Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, che per lungo tempo ha validamente affiancato il professore nelle ricerche sulla scultura barocca. Con loro, amiche carissime, ho diviso la fatica, peraltro gradita, di coordinare l’équipe di studiosi invitati a redige- gere le schede del presente catalogo il quale, secondo un modello caro a Martinelli, è stato pensato come lavoro di équipe volto a rafforzare la coesio ne di un gruppo di amici che hanno conosciuto e apprezzato le doti del professore, vedendo in lui un attento e premuroso maestro ma anche un referente scientifico di grande competenza e generosità. La realizzazione del catalogo sarebbe stata sicuramente meno agevole se Martinelli, previdente come al solito, non avesse "versato" le sue preziose osservazioni storico-critiche in un inventario ragionato delle opere che io stesso, sotto sua dettatura, compilai con l’aiuto di mia moglie Cristina (1996) e che Franscesca Galante Martinelli ha poi riordinato e informatizzato (2000-2001).
Desidero inoltre ringraziare l'assessore ai Beni e Attività culturali della Regione dell'Umbria, prof. Gianfranco Maddoli, che ha voluto inserire questa pubblicazione nella prestigiosa collana "Catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria", e la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, che ha dato un fondamentale sostegno alla stampa del volume. La mia gratitudine va infine ali'assessore alle politiche culturali del comune di Perugia, dott. Anna Calabro, che, insieme al suo ufficio, ha seguito tutte le fasi della vicenda dimostrando sensibilità, determinazione e lucida capacità organizzativa.

Note

1 V. Martinelli, Mostre romane d'arte. Come si diventa collezionista, in "Momento Sera", 10-11 agosto 1964,p. 3.
2 Su questo aspetto cfr. E.B. Di Gioia, Ricordo di Valentino Martinelli, in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", XIV, nuova serie, 2000, pp. 140-145 e, nel presente volume, D. Gallavotti Cavallero, Una vita di studio, pp. 31-36.
3 C. S. Salerno, Valentino Martinelli e il restauro, in questo volume, pp. 47-54.
4 V. Martinelli, Una scultura medita del Bernini: un "Christo ligato" di creta cotta, in Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, a cura di M. Fagiolo, Roma 1987, p. 92.
5 V. Martinelli, Le pitture del Bernini, in "Commentari", I, 2, 1950, p. 96.
6 Ibidem, p. 97.
7 M. Marini, Io Michelangelo da Caravaggio, Roma 1974, pp. 13-15, 18, 62, nota 24, 84, nota 2, 332-334; Idem, "Michel Angelus Caravaggio romanus". Rassegna di studi e proposte, in "Studi barocchi". I, Roma 1979, p. 76, nota 5; idem, Caravaggio, Werkverzeichns, Frankfurt a. M. - Berlin - Wien 1980, pp. 4, 12, nota 1; idem, Gli esordi del Caravaggio e il concetto di "natura " nei primi decenni del Seicento a Roma, in "Artibus et historiae", 4, 1981, p. 57. Per un panorama completo e aggiornato sulle numerose redazioni del Mondafrutto (o ragazzo che sbuccia un melangolo} vedi M. Marini, Caravaggio "pictor praestantissimus", Roma 2001, pp. 370-373 (con bibliografia).
8 Cfr. relazione di restauro di Elena Zivieri conservata nel dossier n. 31.
9 Ibidem.
10 Ibidem.
11 Ibidem. La tela fu esaminata anche da Roberta Lapucci che si espresse (28 giugno 1992) per una datazione più avanzata ("pre- sumibilmente XVIII secolo"). Interessanti alcune osservazioni contenute nella relazione tecnica:"la rifrazione luministi-ca (di matrice tintorettesca) che si sviluppa dal lato destro inferiore della guancia del giovane verso l'orecchio costi-tuisce un elemento di grande interesse, che presuppone una derivazione diretta dalla versione caravaggesca del soggetto. 11 polso della mano sinistra del giovane, nella stesura originale, era in una posizione di scorcio scorretta come risulta anche nelle altre copie; le ridipinture aveva¬ no corretto questa anomalia (tipica del Merisi) allo scopo di migliorare la qualità del dipinto. La radiografia mostra una sovrapposizione di tre stesure diverse per l'unghia del pollice della mano sinistra del ragazzo; la prima (originale) era più corta e lievemente rincalcata ad indicare la pressione del polpastrello sul frutto [...].
Le vecchie radiografie effettuate con mezzi diversi (pellicole di tipo medico che forniscono risposte leggermente devianti sia pure molto utili) da quelli oggi comunemente impiegati, hanno rivelato zone ampiamente ri- dipinte che miravano a rendere, come dire, più 'autentico' il dipinto: 1 ) cercando di rendere i lineamenti del volto del giovane più marcati rispetto alla versione originale sottostante in cui il ragazzo ha tratti molto lineari e di una certa dolcezza; 2) sostituendo il melangolo (verde) con un pomo (rosso) come nella citazióne del Mancini (ms. Palatino); 3) migliorando i passaggi fra luce e ombra che sono più sensibili nella ridipintura e più schematici nei brani pittorici originali [...]. questo genere di ritocchi mi induce al sospetto che qualcuno sia intervenuto con un'operazione di restauro mirata a rendere quest'opera più consona alla versione comunemente ritenuta originale del 'mondafrut-to' del caravaggio" (dalla relazione conser¬ vata nel c/av.sw n. 31 ).
12 cfr. relazione di restauro di llena zivieri conservata nel dossier n. 31.
13 l. fumagalli, precoci citazioni ili opere ilei caravaggio in alcuni documenti inaliti, in "paragone", 47-48, 1994, pp. 101-104. sull'argomento si veda anche s. macioce, una nota per il moinin frutto, in mìchelun-gelo merisi ila ciiniviiggio: hi rifu e le ope¬ re attraverso i documenti. atti del convegno internazionale di studi, roma 1995, pp. 123-134.
14 e. fumagalli, precoci citazioni ili opere del caravaggio in alcuni documenti inediti, in come dipingeva il caravaggio, atti della giornata di studio, milano 1996,pp. 143-145.
15 e. fumagalli, precoci citazioni di opere del cumvuggio in alcuni documenti inediti, in "paragone", 47-48, 1994, p. 114. non cre¬ do che il termine "vivo" posto dal sarego ac¬ canto al nome di "michel ang.o caravag-gio" sia da riferire, come propone m. mari¬ ni (canivnggio "pictor praestantissimus ", roma 2001, p. 371), al soggetto dell'opera. poche righe più avanti lo stesso sarego, par¬ lando di un'opera del miniatore cesare pol¬ lini, scrive infatti: "e più un quadretto pic¬ colo d'una miniatura di cesare pollino pe-rug.no già morto, cioè un trionfo d'uno xpo con molte figure di puttini, o angelctti tutti ignudi".
16 per un aggiornato resoconto sul problema vedi m. marini, caravaggio "piotar prae¬ stantissimus ", roma 2001, p. 370.
17 e. fumagalli, precoci citazioni di opere del curavaggio in alcuni documenti inediti, in "paragone", 47-48, 1994, pp. 102-103. lx laura teza, che ha pubblicato un ap¬ profondito sudio su cesare crispolti, pren¬ dendo in considerazione il problema della sua raccolta, ha scritto: "non sembra poi che il cardinale abbia acquistato alcunché, consi¬ derando che nessuno dei quadri 'migliori' di crispolti risulta poi ncll'inventario borghese del 1693, compreso quel 'quadretto di mi¬ chel angelo caravaggio vivo, cioè una figu¬ ra d'un giovane dalla cintura in su che mon¬ da un persico a olio' sulla cui individuazione si è sviluppata una vivace discussione. l'opi¬ nione prevalente è che anche questa di cri¬ spolti fosse una copia e andrà considerata la presenza di un mondafriitto, pubblicato dal marini, proveniente ab antiquo da una fami¬ glia perugina, con la variante di un piccolo angelo in alto a destra" (l. teza, raccolta delle cose segnalate di cesare crispolti. la più antica guida di perugia (1597), firenze 2001, pp. 57-58). alla tela resa nota da ma¬ rini possiamo aggiungere, ora, il mondafrut-fo martinelli, anch'esso proveniente da una raccofta di perugia. lv martinelli fu coadiuvato nella ricerca da carlotta belloni, che mise generosamente a disposizione le sue conoscenze sulla colle¬ zione perugina dei della penna. i beni dei crispolti confluirono in quelli dei della pen¬ na in due distinti momenti: nef f760, in se¬ guito al matrimonio fraadriano della penna e celidora crispolti e nel 1809, quando il fratello di c'elidora, morto scapolo e senza e-redi, stabili che il suo patrimonio fosse ag¬ gregato a quello della famiglia della penna (cfr. c. belloni, la quadreria della penna nel palazzo dei tré archi, in // palazzo della
penna di perugia, a cura di e. guidoni e f.f. mancini, venezia 1999, pp. 59-75).
20 notizie storiche sul castel toblino e sulla famiglia dei conti di wolkenstein e trost-burg sono in f. vogt, caste! tohliiw (nei! 'e-vo antico e medio). in "strenna trentina", xx, 5, 1940, pp. 51 -57; a. gorfcr, caste! to-hlino, 1966; r. boecardi - d. decarli - a, giovannini, caste! tohlino. guida, trento 1984.
21 c. felicetti, sperimentazioni artisticlie e coscienza sociale elei "pittor tedesco" cri¬ sto/oro unterperger nella renici ilei sette¬ cento, in cristojoro unteperger. un pittore fiemmese nellu roma ilei settecento, catalo¬ go della mostra. roma 1999, p. 9.
22 m.e. tittoni, notn sul resliiiiro delia "buona ventura " ili caravaggio, in "bollet¬ tino dei musei comunali di roma", nuova serie, 1987, pp. 123-124; eadem, la buona ventura dei caravaggio: note e precisazioni in margine al restauro, in caravaggio. nuo¬ ve riflessioni, "quaderni di palazzo vene¬ zia", roma 1989,pp. 179-197.
23 fé mancini, introduzione, in pinacoteca comunale ai derma, "catalogo regionale dei beni culturali dell'umbria", perugia 1992,pp. 14-15, 136-139.
24
l. pascoli, vite ile' pittori, scultori eil ar¬ chitetti viventi. introduzione di v. martinelli, nota sulla storia dei manoscritti di f.f. mancini, treviso 1981; idem, vite de'pitto¬ ri, scultori ed architetti moderni. edizione critica dedicata a valentino martinelli, intro¬ duzione di a. marabottini, perugia 1992. ^ f.f. mancini, introduzione, in pinacoteca comunale di deruta, "catalogo regionale dei beni culturali dell'umbria", perugia 1992,p.26. 25 ( su questo aspetto ctr. f.f. mancini, valen-tino marlinelli: il ricordo di un allievo, in "commentari d'arte", v, 12, 1999, pp. 9-11.
27 v. martinelli, presentazione, in l. pascoli, vite de 'pittori, scultori ed architetti moder- | ni. edizione critica dedicata a valentino martinelli, introduzione di a. marabottini, perugia 1992,p. 12. -v ff palazzo detta penna iu' perugia, u cura di e. guidoni e f.f. mancini, venezia 1999, p. xvii.
29 su questo aspetto ctr., nel presente volu¬ me, e.b. di gioia, valentino martinelli e la scultura barocca romana. le ragioni di un colleziomsta, pp. 37-46.
30
v. martinelli, premessa, in gian lorenzo bernini e la sua cerchia. studi e confrihiiti (j 950-] 990), napoli 1994, p. 7.
31 o. melasecchi, in questo catalogo, scheda n. 6.
32 e.b. di gioia, in questo catalogo, scheda n. 19.



Una vita di studio
Daniela Gallavotti Cavallero


La feconda vicenda di studioso di Valentino Martinelli si è svolta lungo il corso di più di cinque decenni, spaziando dall’ Arte medievale a quella contemporanea, da Arnolfo di Cambio alla Scuola romana. Ha scritto di pittura, scultura, architettura, disegno e su quelle che si dicevano arti minori con la competenza e la completezza che caratterizza gli studiosi che non hanno precocemente intrapreso la via della specializzazione a oltranza.
Martinelli si è subito rivelato ricercatore originale, e coraggioso, affrontando uno dei versanti ancora oggi più rari e controversi dell'attività di Gian Lorenzo Bernini, in un articolo dal titolo brevissimo e perentorio: Le pitture del Bernini, apparso nel 19501. È ben noto che su questo aspetto dell'operosità berniniana, segnalato dalle fonti come rilevante ma progressivamente affievolitesi nella consapevolezza della critica, si erano appuntati, a partire dagli inizi del novecento, gli interessi degli studiosi, dal Fraschetti, al Pollak, al Muñoz e fino alla monografia di Luigi Grassi sul Bernini pittore, datata 1945, per dire solo dei contributi quantitativamente più cospicui. Attraverso gli scritti sull'argomento della prima metà del secolo scorso, dunque, pionieristici e perciò tanto più mentori qual erano, si era andato tuttavia accumulando un corpus pletorico di dipinti nei quali non era facile individuare la sequenza cro¬ nologica e la coerenza stilistica.
L'approccio metodologico di Martinelli al problema è contenuto in una breve frase ali'inizio del saggio: "Per veder chiaro in questo spinosissimo e non secondario problema della critica berniniana non resta dunque che costituire finalmente un nucleo di pitture- poche, pochissime, ma certe per documento e per stile- e soprattutto tentarne un ordinamento cronologico per lo più ritenuto difficilissimo se non impossibile ma mai proposto in base ad argomenti piuttosto esteriori". Appare evidente subito, insomma, come gli studi del giovane Martinelli poggino su solide basi filologiche e su una altrettanto solida e ampia conoscenza e capacità di riconoscere gli artisti e le loro opere. I documenti, allora, e innanzitutto. Così, accantonando in blocco quello che al tempo era considerato il catalogo delle pitture berniniane e che si componeva di una trentina di dipinti, lo studioso ne riaggrega solo sette, intorno alla tela che raffigura i Santi Andrea e Tommaso, ricordati come "di mano del Cavalier Bernino" già in un inventario di casa Barberini datato 1627: quattro autoritratti, il Ritratto di Urbano VIIl della Galleria Spada, il David Incisa e una Testa di vecchio.
Così circoscritto, avverte lo studioso, il catalogo delinea, in sintonia con quanto avevano indicato i biografi, due distinti momenti cronologici dell'attività pittorica berniniana, il primo conseguente alle esortazioni di urbano vili, i "consigli dell'amico pontefice" come li chiamava Bal-dinucci; il secondo alla morte di papa Barberini, negli anni dell'isolamento impostogli dall'ascesa al soglio di Innocenzo X. Intorno agli otto dipinti autografi Martinelli tesse la fitta trama delle relazioni con la pit¬ tura di quei decenni, Sacchi, Guercino, Lanfranco, Poussin, Velazquez, Cortona, Baciccio; introduce il problema dei pittori di stretta osservanza berniniana, pone in poche pagine le premesse per tutti gli studi successivi sull'argomento. Anche le opere espunte sono oggetto di discussione, per quanto confinata in nota. E proprio per le note che corredano il primo saggio berniniano di Martinelli occorre fare un cenno a parte per la straordinaria densità del loro contenuto: non solo riferimenti bibliografici, ma attribuzioni - esemplare è quella conclusiva - che spesso hanno resistito a mezzo secolo di studi ulteriori, e proposizioni problematiche,come, in un'altra nota, quella relativa ai rapporti di scambio Bernini-Baciccio, che ancora attendono una risposta esauriente.
L'articolo su Le pitture del Bernini, benché apparso nel 1950, è datato 1948. Sono dunque esordi precoci quelli di martinelli che, appena venticinquenne, percorre con sicurezza e misura le vie complesse, e all'epoca assai poco note, della cultura artistica del seicento non solo romano. Queste sue qualità, sicurezza e misura, nei giudizi e nei contenu¬ ti, trovano espressione in una prosa asciutta nella quale l'analisi formale è strettamente finalizzata alla comprensione dell'opera, rifuggendo dal compiacimento letterario e dalla parafrasi verbale, in un tempo in cui, peraltro, era questa ancora l'attitudine prevalente. E quella stessa sobrietà, che è una forma mentale, percorre tutta l'opera dello studioso, della quale il saggio su le pitture del bernini rappresenta l'esordio paradigmatico.
In quello stesso anno 1950, poi, nel successivo fascicolo della rivista "commentari"2, sarebbe uscito un secondo contributo, dedicato ai disegni del Bernini e complementare al primo non solo per la contiguità del¬ la materia ma perché, rispetto a quello, affronta il problema opposto, quello di indicare la strada per ristabilire una corretta lettura formale dei numerosissimi fogli berniniani che brauer e wittkower avevano raccolto nel 1931 in un monumentale corpus. Si dipanano così le vicende della grafica berniniana, la durevole propensione per la cultura carraccesca, lo studio dell'antico, il gusto per il ritratto. È, questo dei ritratti realizzati da bernini, disegnati, dipinti, scolpiti, il vero filo conduttore degli studi di martinelli sull'artista: non pochi sono quelli presentati per la pri¬ ma volta nei suoi scritti: il busto di Camilla Barbadori, madre di Urbano VIII, quello di Clemente X Altieri, quello di Maria Barberini, il ritratto dipinto di Pietro Bernini.
Ad un tempo precocissimo, i primi anni Cinquanta, risale anche il tentativo di Martinelli di riordinare una materia allora assai vaga come era quella dei rapporti del giovane gian lorenzo con il padre pietro, anch'egli scultore, e della corretta attribuzione di alcune opere su cui le fonti si mostravano contraddittorie e incerte, come è il caso San Sebastiano della collezione Thyssen, del San Lorenzo di Palazzo Pitti, e dello stesso gruppo con Enea, Anchise e Ascanio della Galleria Borghese. I contenuti di quel saggio si arricchiranno, quasi dieci anni e di un'importante scoperta: i due termini rappresentanti priapo e i provenienti dalla villa borghese, allora in una collezione privata americana. Dietro i pagamenti a Pietro Bernini pubblicati dallo stesso Martinelli, lo studioso vedeva una estesa collaborazione del giovane Gian Lorenzo, alla quale la critica non ha fatto mancare riserve ma che si è rivelata poi stilisticamente corretta4.
Per tornare ora ai disegni, questa materia avrà molti anni dopo, nel 1981, una trattazione più ampia, ma sempre discendente da quelk me, fondamentali, asserzioni5. Anche il tema delle pitture sarà destinato a percorrere tutto il corso dell'itinerario critico di Martinelli, anche se aquel giovanile, parco catalogo egli ne aggregherà pochissime altre venendo meno al suo impegno di storico e di filologo.
Nella bibliografia di Valentino Martinelli la figura di Gian Lorenzo Bernini si pone come elemento cardine intorno al quale ruotano molte altre vicende artistiche del tempo, prime fra tutte quelle relative alle cerchia di artisti impegnati a tradurre nell’ opera finita le idee berniniane: pittori come Guidubaldo Abbatini, scultori come Andrea Bolgi, artisti come Matthia de' Rossi, incisori come Francois Spierre, a cui si deve la trasposizione grafica di non poche opere berniniane6. La padro-nanza del tempo del tardo Manierismo e del Barocco romano, il dominio delle fonti, iconografiche e d'archivio, formano l'humus da cui prendono corpo gli studi, sempre ricchi di indicazioni nuove, spesso essenziali successivi percorsi critici, dedicati a Francesco Mochi, Pompeo Ferrucci, Camillo Rusconi, Flaminio Vacca, al raro Federico Zuccari scultore Camillo Mariani, Francois Du Quesnoy, Giovanni Baglione, Carlo Saraceni, Pierfrancesco Mola, fino a Filippo della Valle e al Canova7.
La sensibilità nei confronti dell'opera scolpita, la chiara percezione delle componenti tecniche e formali è alla radice della riconsiderazione dell'attività di donatelle nel breve soggiorno romano agli inizi degli anni trenta del quattrocento, in virtù della quale ne risulta ridefinita la responsabilità nel monumento funebre di Martino V e nel tabernacolo per Eugenio IV. Per quest'ultimo, la rilettura dei documenti e l'analisi formale hanno portato alla constatazione della compresenza di michelozzo, arricchendo il corpus delle imprese in sodalizio fra i due8.
Gli anni cinquanta e sessanta sono anche quelli della militanza di critico contemporaneo - espressa negli articoli sui quotidiani e nelle tra¬ smissioni radiofoniche - in cui Valentino Martinelli indirizza la propria attenzione in particolare alla scuola romana, a Mafai, Antonietta Raphàel, Scipione, nel cui espressionismo cromatico rivive l'esuberanza formale del barocco. Ad Antonietta Raphäel dedica il primo saggio su una rivista scientifica, e qualche anno dopo la prima monografia. L’interesse per le espressioni figurative Dell'ottocento e del Novecento, dai paesisti romani alla Biennale, rimane come motivo di sottofondo fino ai saggi degli anni Ottanta dedicati a Ungaretti e la "scuola Romana " e a La campagna romana nella poesia del Belli e nella pittura dell 'Ottocento 9.
Nei vent'anni del suo magistero universitario alla sapienza (1976-1995, dopo avere insegnato durante i vent'anni precedenti alle università di Messina e di Perugia), martinelli ha aggregato intorno a sé, alla seconda cattedra di storia dell'arte moderna e alla scuola di specializzazione in storia dell'arte che ha lungamente diretto, un folto gruppo di studenti e di giovani studiosi ai quali ha tramandato la sua metodologia: ricerca d'archivio, studio delle fonti e necessità di possedere un'ampia e profonda conoscenza dei fatti dell'arte al di là della propria specializzazione. Nell'ambito di questa scuola, impegnata a indagare sistematicamente pittura, scultura e architettura del seicento romano sono nati alcuni importanti studi, il primo dei quali, dopo la collaborazione alla mostra dedicata a Bernini in vaticano (1981), è nel 1982 quello relativo alla decorazione scultorea del colonnato di san pietro10. Nel corso degli anni ottanta vedono la luce altri progetti non strettamente connessi con ricerche berniniane, come il commento alle vite di lione pascoli, prima il manoscritto perugino, poi i due volumi del 1730-36, o come la monografia su Andrea Pozzo - risultato del triennio di permanenza presso il centro linceo interdisciplinare b. Segre dell'Accademia dei Lincei | (1990-1993) - artista di cui Martinelli ha studiato in prima persona L’attività di prospettico, nell’ambito del seicento romano ed europeo".
In anni recenti aveva dato vita ad un progetto di ampio respiro, chiamando a collaborare non soltanto i suoi scolari, ma anche altri docenti universitari e studiosi delle soprintendenze, dell'istituto centrale del restauro e di altre istituzioni statali e comunali. Il progetto, articolato in numerosi volumi dedicati all' universo barocco, aveva come elemento conduttore i filoni di indagine lungo i quali si sono disposti i contributi |[ Di Valentino Martinelli nel corso di cinque decenni: da Pietro Bernini e gli altri scultori del primo seicento romano, all'ultimo Bernini. Al terzo volume, per il quale stava approntando il corpus della pittura di Gian Lorenzo Bernini, attendeva ancora poche settimane prima della morte12

Note

1 Le Pitture Del Bernini, in "commentari", I, 1950, pp.95-104.
2 I disegni del Bernini, in "Commentari", I, 1950,pp. 172-186.
3 Capolavori noti ed ignoti de! Bernini: i ritraiti dei Barberini, diInnocenzo X e di Alessandro VII, in "Studi Romani", 111, 1, 1955, pp. 32-52; Il busto di Urbano VIII Di Gian Lorenzo Bernini nel Duomo di Spoleto, in "Spoletium",I-II,1954-1955, pp. 43-49; I busti herniniani di Paolo V, Gregario Xv e Clemente X, in "Studi Romani", III, 6, 1955, pp. 647-666; Novità berniniane: 1. Un busto ritrovato: la madre di Urbano VIII: 2. Un crocifisso ritrovato?, In "Commentari", VII, 1956, pp. 23-40; I ritratti di pontefici di Gian Lorenzo Bernini, Roma 1956; Il ritratto de! Padre de! Bernini "di mano del cavaliere", in "storia dell’arte", 38-40, 1980, pp. 335-338; un altro dipinto di Gian Lorenzo Bernini: un ritratto giovanile del card. Antonio Barberini junior, in studi in onore di Giulio Carlo Argan, Roma 1984, pp. 259-263; nuove precisazioni su due ritratti di Urbano VIII Barherini, dipinti da Gian Lorenzo Bernini, in Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, atti del Convegno, Roma 1987, pp. 251-258; notizie su Agostino e Pietro Valier cardinali di San Marco a Roma ; su le vicende dei due ritratti berniniani in marmo da Roma a Venezia, in La regola e la fama: San Filippo Neri e l'arte, catalogo della mostra, Milano 1995, pp.98 107
4contributi alla scultura del Seicento - iv, Pietro Bernini e figli, in "Commentari", iv, 1953, pp. 133-154; Novità hermniane: 4. "Flora " e "Priapo " due termini già nella Villa Borghese a Roma, in "Commentari", XIII, 1962,pp. 267-288.
5 Gian Lorenzo Bernini. Disegni, Firenze 1981.
6 Nuovi ritratti di Guidubaldo Abbatini e Pierfrancesco Mola, in "commentari", IX, 1958, pp. 99-109; Contributi alla scultura del Seicento: Andrea Bolgi a Roma e a Napoli, in "Commentari", x, 1959, pp. 137-158; prefazione in A. Menichella, Mattia de' Rossi, discepolo prediletto del Bernini,Roma l985.pp.7-10.
7 Alcune opere inedite di Francesco Mochi 1946, pp. 72-77; Contributi alla scultura del Seicento. I. Francesco Mochi a Roma, in "commenta-ri". II, 1951, pp. 224-235; Scultori fiamminghi in Italia, in "atti dell' Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti della classe di scienze morali, storichee e filologiche", VII, 1952, pp. 399-415; due modelli di caniillo ruscelli ritrovati, in "commen-tari", iv, 1953, pp. 231-241; La Scultura di Federico Zuccari, in "Capitolium", XXIX, 1954, pp. 39-46; Flaminio Vacca scultore e antiquario romano, in "Studi Romani", II, 1954, pp. 154-164; Le Prime Sculture di Camillo Mariaiti a Roma, in "Atti del XVII Congresso di Storia Dell’Arte di Venezia", 1955, Venezia 1957, pp. 309-311 ; Un capo- lavoro recuperato: il Battesimo di Cristo di Francesco Mochi, in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", iii, 1956, pp. 48-59; Cristoforo Stati e il gruppo ai "Venere e A-done", in "Rivista d'Arte", XXXII, 1957, pp. 3-12; un capolavoro inedito di Lan-franco in S. Domenico di Spoleto, in "Spoletium", IV, 1957, pp. II, pp. 12-16; Settecento inedito: Sebastiano Conca in Umbria, in "Spoletium", v, 1958, 1, pp. 3-11; L'Amor divino "tutto ignudo" di Giovanni Baglione e la cronologia dell'intermezzo caravaggesco, in "arte antica e moderna", 5, 1959, pp. 82-96; Le date della nascita e dell 'arrivo a Roma Di Carlo Saraceni, pittore veneziano, in "Studi Romani", VII, 1959, pp. 137-158; Settecento inedito: un modello di Angelo de ' rossi per la statua di Alessandro VIII Ottoboni in S. Pietro, in "Studi Romani", VII, 1959, pp. 429-437;un "modello di creta" di Francesco Fiammingo, in "Commentari", XIII, 1962, pp. 113-120; Canova e la forma neoclassica, in Arte neoclassica, atti del convegno, Firenze 1963, pp. 199-212; Un sonetto sulla pittura di Marzio Milesi, in "Arte Lombarda. Studi in onore di G. Nicco Fasola", x, 1965, pp. 260-264; Altre opere di Pierfrancesco Mola a Roma, in arte in Europa. Scritti di Storia dell'arte in onore di Edoardo Arslan, Milano 1966, pp. 713-718; scultura italiana dal Manierismo al Rococò, Milano 1968; Un bozzetto in terracotta di Filippo della Valle, per la statua di Clemente XII Corsini, in "Bollettino dei Musei Comuna- di Roma", XVI, 1969, l-4,pp. 1-12; Agostino Scilla, pittore e scrittore messinese esule a Roma, in Studi in onore di S. Pugliatti, v, milano 1978, pp. 597-605; Un modello di Francesco Trevisani per il profeta Barouch nella Basilica lateranense, in "Arte Veneta. Studi in onore di R. Pallucchini", XXXII, 1978, pp. 376-382; L'uomo e l'artista nella cultura e nella società del suo tempo, in Pietro da Cortona architetto, atti del convegno, Cortona 1978, pp. 31, 38, 44-47, 53.
8 Donatello e Michelozzo a Roma (I), in "Commentari", VIII, 1957, pp. 167-194; Donatello e Michelozzo a Roma (II), in "Commentari", ix, 1958, pp. 3-24; La "compagnia " di Donatello e Michelozzo e la "sepoltura " del Brancacci a Napoli, in "Commentari", XIV, 1963, pp. 211-226.
9 Raphäel Mafai, in "Commentari", III, 1952, pp. 293-300; Antonietta Raphäel Mafai,Roma 1960; Scipione e Renato Mazzacurati pittore (con dodici lettere inedite di Scipione), in Studi di storia dell’arte in onore eli Vittorio Viale, Torino 1967, pp. 98-116; Mario Maifai, Roma 1967; Antologia di scritti editi e inediti di Mario Mafai, in Mafai, catalogo della mostra. Roma 1969, pp. 13-50. Sulla pittura dll'ottocento; Momenti e aspetti dell pittura di paesaggio a Roma nella prinìa metà del XIX secolo, in "Rassegna del Lazio", IX, 1962, 9-12, pp. 67-76; Momenti e aspetti della pittura di paesaggio a Roma nella prima metà del XIX secolo, in "Rassegna del Lazio", X, 1963, 4-6, pp. 59-68; paesisti romani dell'Ottocento, Roma 1963; ‘’"er deserto ": la campagna romana nella poesi del Belli e nella pittura dell'Ottocento, in Letture Belliane. I sonetti del 1836 Roma 1986, pp. 47-63. Fra gli altri scritti di arte contemporanea si segnalano: M. Henri Laurens, in "catalogo della XXV Biennale di Venezia", Venezia 1950, pp. 397-399; Sculture moderne all 'aperto, in "Commentari". Iv, 1953, pp. 275-287; la XXVIII Biennale di Venezia. La scultura, in "Commentari", v, 1954, pp. 11-7; Mirko, in "Commentari", VI, 1955, pp. 206-216; Venezia 1936. Crisi della Biennale o Biennale di crisi, in "Commentari;", VII, 1956,pp. 199-206; Modigliani e Laurens, in Scritti di storia dell'arte in onore di Lionello Venturi, Roma 1958, pp. 205-214; Raffaello Salimbeni, in Catalogo dell'ottava Quadriennale di Roma, Roma 1959, p. 171; mirko, in catalogo dell'Otta¬ va Quadriennale di Roma, Roma 1959, p. 201; Mirko, in Catalogo della XXX Biennale Di Venezia, Venezia 1960, e numerosi testi sulla rivista "il Veltro".
10 Le statue berniniane del colonnato di San Pietro, a cura di V. Martinelli, Roma 1987.
11 vite de' pittori, scultori ed architetti viventi scritte dal perugino Lione Pascoli. Treviso 1981 (introduzione al volume e commento alla vita di Lorenzo Ottoni); vite de 'pittori, scultori ed architetti moderni(1730-1736),Perugia, 1992 (presen-
tazione); Andrea Pozzo, a cura di V.De Feo e V. Marti- nelli ("teatri sacri e profani"di Andrea Pozzo nella cultura prospettico-scenogra-fica barocca. pp. 94-113).
I2 volumi apparsi (in parentesi i contributi di Martinelli): marmorari e argentieri a Roma e ne! Lazio. Roma 1994; L 'ultimo Bernini, 1665-1680 nuovi argomenti, documenti e immagini. Roma 1996 l'ultimo crocifisso del Bernini, pp. 161-180; la "Imago Christi" secondo Bernini. Costanti e varianti tipologiche e formali, pp. 181-232).




Valentino Martinelli e la scultura barocca romana.
Le ragioni di un collezionista
Elena Bianca Di Gioia

La prima volta che ho avuto modo di visitare la collezione di scultura di Valentino Martinelli, alla metà degli anni Novanta, non nego di essere entrata nella sua casa con un certo timore. Timore e profondo rispetto per uno studioso e storico dell'arte tra i più importanti del Novecento che a-vevo conosciuto soprattutto attraverso gli scritti, brillanti e innovativi, dedicati al Barocco e alla scultura romana del Seicento, ma anche uomo dotato di un intuito critico formidabile nel valutare le opere d'arte, che gli consentiva di cogliere con grande libertà di pensiero e lucidità la qualità di una scultura, anche quando quest'ultima si presentava in forme assolutamente nuove e inedite che sembravano smentire tutto quello che fino a quel giorno si era dato per certo e conosciuto.
Laureatosi a ventidue anni nel 1945 ali'università degli studi "La Sa¬ pienza" di Roma con una tesi discussa con Pietro Toesca su Francesco Mochi scultore, predilige sin dagli esordi strade fino ad allora poco battute dagli storici dell'arte italiani della prima metà del Novecento (se si escludono gli studi pionieristici di Stanislao Fraschetti, Antonio Munoz, Alberto Riccoboni e Roberto Battaglia): la storia della scultura e il barocco, periodo storico sul quale pesava ancora in italia, nonostante le ricerche documentarie e le aperture critiche di studiosi austriaci e tedeschi dei primi decenni del novecento quali Oskar Pollak, Orbaan, Hermann Voss, Heinrich Brauer e Rudolph Wittkower, il giudizio negativo di Benedetto Croce, che aveva liquidato questo nodale momento della storia della cultura italiana ed europea come fase di inequivocabile decadenza del gusto 1
Il metodo critico appreso alla scuola di Toesca e affinato negli anni di perfezionamento con Lionello Venturi e Mario Salmi, unito ali'accurata ricognizione delle fonti d'epoca e all'appassionata ricerca, in collezioni pubbliche e private, di opere d'arte spesso considerate perdute o disperse, lo avevano portato fin dai sui primi scritti a dare un fondamentale apporto scientifico alla ricostruzione dell'attività di due protagonisti della scultura del Seicento: Francesco Mochi e Gian Lorenzo Bernini, ma anche un concreto contributo alla salvaguardia e alla valorizzazione di alcuni loro capolavori ignorati,
Emblematico il caso dei suoi primi studi su Mochi pubblicati tra il 1946 e il 19522.Le ricerche effettuate presso gli eredi Barberini e la ri- ^ costruzione critica dell'attività dello scultore, basata sull'attenta disami na delle fonti, lo portarono ad una puntuale ricognizione delle opere superstiti, non sempre in linea con i giudizi critici di più noti e accreditati studiosi (e si rileggano in proposito le brillanti considerazioni del venti treenne Martinelli accanto a quelle un po' infastidite e supponenti di Paola della Pergola a proposito dell'attribuzione del Busto marmoreo di Carlo Barberini del Mochi sulle pagine della rivista "Arti Figurative" del 1946)3. Accanto all'elenco delle opere certe, o attribuite con serrato metodo critico, lo studioso segnalava le sculture citate dalle fonti ancora da rintracciare e che ad anni di distanza, anche sulla base delle sue essenziali indicazioni, saranno da altri identificate con successo (come ad esempio il magnifico busto di Antonio Barberini Juniore del Toledo Museum of art pubblicato da Irving Lavin nel 1970)4.
E’ importante ricordare che grazie ai suoi studi, ma anche al suo con creto impegno nel campo della tutela, due capolavori di questo grande artista furono di lì a poco salvati dal definitivo degrado: è il caso Del Cristo e del Battista, già esposti ali'aperto sulla testata nord di ponte mil vio, trasferiti nel 1955 al Museo di Roma a seguito dell'appello lanciato dallo studioso, fin dal 1951, sulle pagine della rivista "Commentari". Altre saranno felicemente "riscoperte" e valorizzate all'interno di collezioni pubbliche romane, come accadde per il citato busto di Carlo Barberini del Museo di Roma (fig. 1), uno dei capolavori della scultura di ritratto a Roma intorno al 1630, presentato per la prima volta in un contesto critico esauriente nel suo studio del 19465.
Nei primi due scritti dedicati a Gian Lorenzo Bernini pittore e disegnatore6, pubblicati nel primo numero della rivista "Commentari" fondata Da Lionello Venturi E Mario Salmi nel 1950, si intravede chiaramente un'altra novità del suo approccio metodologico allo studio del maestro del Barocco romano, concepito e applicato "(...) Come speculare alla poetica berniniana del bel composto delle tre arti, in quanto rivolto alla ricerca costante (allora ben poco praticata, oggi fin troppo diffusa) della loro interdipendenza negli sviluppi della nuova sintassi berniniana, che, anche per questo, sta alle origini del linguaggio barocco"7.
Questa apertura inedita darà i suoi frutti nel decennio successivo in cui videro la luce saggi e scritti critici che segnarono un momento di grande vitalità nell’ambito degli studi berniniani. Nel 1953, con due anni di anticipo sul fondamentale testo di Rudolph Wittkower, pubblicava la monografia Bernini, edita nella collana dei Libri del Pavone della Mondadori come pocket-book, destinata ad un più ampio pubblico e impegnata "(...) a investigare la sorprendente vastità e l'inesauribile profondità dell'universo berniniano nei suoi multiformi aspetti'8. L'autore, in questo denso profilo della vita e dell'opera di Bernini, pone nettamente l'accento sulla interdipendenza tra le diverse componenti del linguaggio dell'artista: pittura, scultura e architettura si fondono in unità, ma per la prima volta anche disegni, caricature, incisioni, scenografie teatrali, testi di commedie e apparati effimeri per la festa vengono segnalati come parte integrante della sua attività. E un'indicazione preziosa che i successivi studi di Maurizio e Marcello Fagiolo dell'Arco metteranno a frutto in modo esemplare9. C'è, allo stesso tempo, un chiaro invito ad inserire tutte le componenti del linguaggio artistico berniniano in un saldo quadro storico di riferimento. "non dimentichiamo - afferma lo studioso - che l'esteticità di tali forme si illumina di piena luce quanto più sentite in un diretto rapporto con quei fatti storici, quelle correnti di pensiero che ne condizionarono, allora, la nascita; la cui rievocazione, anche brevissima, ne favorisce, oggi, la netta comprensione"10.
In queste, come in altre e più mature prove, la scrittura gioca un ruolo fondamentale. Quasi mimetica nel descrivere con assoluta pregnanza tutti gli aspetti legati alla materia e alla tecnica d'esecuzione di un'opera, considerati di fondamentale importanza in quanto intimamente connessi agli esiti che l'artista intendeva raggiungere, è originale, talvolta polemica, in alcuni saggi così raffinata da sfiorare la pura letteratura. Avvincente nei ragionamenti, esige la massima attenzione del lettore fino ali'ultima riga, anche nelle note, dove le notizie e i suggerimenti per gli studiosi sono ad altissima densità.
Sono anni di intenso lavoro che vedono, oltre al saggio dedicato a Pietro Bernini e figli su "Commentari" del 1953, una serie di contributi importanti sui ritratti dei pontefici di Gian Lorenzo Bernini del 1954 e 1955, che culminarono nella ormai quasi introvabile monografia edita dall'istituto di Studi Romani nel 1956".
In questi scritti filologia e connoisseurship si fondono ad un'attenta ricostruzione delle vicende storiche delle singole opere, basata su accurate ricognizioni presso collezionisti ed eredi delle nobili famiglie dei pontefici (Barberini, Pamphilj, Chigi e Altieri), che gli permettono di rintracciare e portare ali'attenzione della critica capolavori ignorati o dispersi.
È importante ricordare che alcune di queste magnifiche sculture di Bernini, a seguito dei suoi studi, furono negli anni acquisite nelle collezioni pubbliche romane: tra le altre ricordo il busto, marmoreo di Antonio Barberini seniore e i due busti marmorei di Urbano VIII, provenienti dalla collezione Barberini, acquistati dalla Galleria Nazionale d'arte Antica (fig. 2); il raro modello in terracotta del busto di papa alessandro VII Chigi proveniente dalla collezione Muñoz, oggi a palazzo Corsini e la mezza figura in marmo di papa Clemente X "ritrovata" da Martinelli nel 1955 a Palazzo Altieri (fig. 3), acquistata e restaurata nel 1997 dalla Galleria Nazionale d'arte Antica ed esposta per la prima volta al pubblico nella mostra dedicata a Gian Lorenzo Bernini organizzata a roma nel 199912.
Agli anni Cinquanta e Sessanta, periodo nel quale è impegnato anche nel campo della storia dell'arte medievale, rinascimentale e neoclassica, oltre a sue meno note incursioni nel campo della storia dell'arte contemporanea e in quello della critica d'arte13, risalgono gli scritti dedicati a scultori del Manierismo, delBarocco e del tardo Barocco a Roma. Marmi, bronzi, bozzetti e modelli in terracotta di autori quali Flamimo Vacca Federico Zuccari Scultore, Camillo Mariani, Cristoforo Stati, Pietro Bernini, Andrea Bolgi, Francois Du Quesnoy, Domenico Pieratti, Lorenzo Ottoni, Camillo Rusconi, Angelo de' Rossi E Filippo della Valle sono spesso riconosciuti e presentati per la prima volta con una chiara percezione della qualità della scultura e delle sue peculiarità tecniche e formali. La messe delle scoperte è tale che basterà citare le erme di Flora e Priapo di Pietro Bernini (figg. 4-5), ritrovate in collezione privata negli Stati Uniti, il Modello in terracotta del cardinale Maurizio Di Savoia del Du Quesnoy e il Modello in terracotta per la statua di papa Gregorio XIII di Camillo Rusconi, riconosciuti e valorizzati nelle collezioni del Museo di Roma, o il modello in terracotta per la statua di Alessandro VIII Ottoboni di Angelo de' Rossi al De Young Memorial Museum di San Francisco, per comprendere come le novità emerse dai suoi studi abbiano costituito punti fermi per la ricostruzione critica dell'attività di questi maestri della scultura del Seicento e del Settecento romano14
È a partire da questi anni che si viene delineando la sua collezione d'arte dal Cinquecento al Novecento.
Ad evidenza, la raccolta di scultura del Seicento e del primo Settecento, non diversamente dagli altri settori della sua collezione, si configura nel solco dei suoi interessi di studio e delle sue curiosità intellettuali intorno a tutti gli aspetti dell'arte barocca. Ma fin dalle origini mi sembra chiaro l'intento - più da conservatore di museo e da docente univer-sitano, che da semplice collezionista - di formare una raccolta dove ma¬ teriali non sempre di facile apprezzamento, quali sculture di piccolo formato, bozzetti in terracotta, gessi, piccoli bronzi, sculture in legno e rare cartapeste, potessero non solo trovare il loro ambiente ideale nel temporaneo e ben costruito rapporto di contiguità con dipinti, disegni e incisioni della stessa epoca sapientemente distribuiti ali'interno della sua casa-museo, ma il definitivo rifugio dalla dispersione sul mercato antiquario italiano ed europeo e un luogo privilegiato di tutela, di studio e di valorizzazione in vista della loro trasmissione nel tempo.
Fin dalla mia prima visita alla raccolta di modelli e bozzetti in terracotta del Seicento e del Settecento conservati nel suo appartamento, nel suo studio e nella sua biblioteca - vera e propria "casa della vita", specchio dell'anima di un valente studioso e di un raffinato intellettuale - ho appreso dalla sua viva voce quello che con grande serenità stava progettando da lunghi anni per il futuro della sua collezione: la piena valorizzazione in un museo come primo nucleo di una più ampia raccolta dedicata al Seicento e Settecento romano, destinata a crescere nel tempo attraverso altri generosi doni, depositi o mirati acquisti, che fosse soprattutto di stimolo alla formazione di giovani storici dell'arte e un concreto contributo alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio pubblico nazionale.
Questo era stato il senso del suo paziente lavoro di collezionista e del suo sistematico e appassionato impegno di conservatore. Quasi tutte le sculture acquistate nel corso di circa cinquant'anni, senza distinzione di qualità o importanza, erano state oggetto di accurate indagini e di restauri affidati ai migliori specialisti sotto la sua attenta dirczione. Le opere più problematiche erano state in più occasioni sottoposte ali'attenzione di storici dell'arte italiani e stranieri, divenendo oggetto di corrispondenze e conversazioni di cui Martinelli amava serbare il ricordo in alcuni concisi appunti conservati nei suoi dossier. Ma la disponibilità ad accogliere nella sua casa romana studiosi in visita alle sue collezioni contrastava con l'estremo riserbo nel rendere noti gli esiti delle ricerche intorno ad opere di sua proprietà.
Raramente, talvolta dopo decenni di riflessione, e solo nel caso in cui \e indagini su una scultura oggetto di quotidiane frequentazioni erano giunte a un grado di maturazione giudicato utile al progresso degli studi, aveva convenuto di presentarle al giudizio della critica.
È questo il caso del magnifico modello in terracotta del "Cristo ligato" attribuito a Gian Lorenzo Bernini (fig. 7). Acquistato nei primi anni Sessanta, fu presentato dallo stesso Martinelli solo nel 1987 in un intervento al convegno dedicato a Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, promosso dall'Istituto della Enciclopedia Italiana 15. L'attribuzione, suggerita in base ad una serratissima lettura critica, fu accolta a suo tempo con una certa cautela e ripresa solo da alcuni degli studiosi che avevano avuto la possibilità di vedere il modello nella sua collezione (Marcelle e Maurizio Fagiolo dell'Arco già nel 1967 e, più recentemente, SebastianSchütze, Oreste Ferrari, Serenita Papaldo, Francesco Petrucci). La terracotta, che costituisce a mio avviso uno dei lasciti più mirabili del maestro del Barocco romano, recuperata sul mercato antiquario in virtù della sensibilità e dell'intuito critico di un grande studioso, si presenta oggi nel Museo Martinelli del Palazzo della Penna all'attenzione del pubblico e degli specialisti come una delle sculture di maggiore interesse, futuro campo di proficue indagini.
Negli ultimi anni della sua vita Valentino Martinelli aveva acconsentito a presentare alcune opere rare della sua collezione di scultura che ponevano problemi tecnici e critici di non facile soluzione, ma proprio per questo affascinanti e sui quali amava personalmente interrogarsi e confrontarsi con altri studiosi, fossero - questi ultimi - giovani storici dell'arte o notissimi specialisti a livello internazionale.
Campi di indagine mai prima delineati dagli studi cominciavano ad emergere anche in ragione degli accurati restauri ai quali aveva sottoposto alcune sculture. Due rarissime cartapeste berniniane e algardiane dell'Anima dannata e della Maddalena in estasi, acquistate sul mercato antiquario in uno stato di conservazione che ne alterava alla radice l'aspetto originario, erano state oggetto di un raffinato intervento di recupero curato da Carlo Stefano Salerno e in seguito furono rese note nel 1997 sul "Bollettino d'Arte" in un innovativo saggio dello stesso giovane studioso, valente restauratore e storico dell’arte 16. Allo stesso tempo un modello in terracotta per un medaglione a rilievo con il profilo di papa Clemente X Altieri, restaurato dallo stesso Salerno, era stato presentato da Eleonora Villa, insieme ad un importante medaglione a rilievo in bronzo dorato di papa Altieri della stessa collezione, in un bel saggio pubblicato nel volume L'Ultimo Bernini, curato dallo stesso Martinelli nel 1996 17.
Nell'ambito di due scritti dedicati dallo studioso nello stesso volume all’Ultimo crocifisso del Bernini e alla "Imago Christi" secondo Bernini 18, frutto maturo di anni di riflessioni, densi di novità e suggerimenti, Martinelli presentava ancora tre esemplari della sua collezione: il Cristo vivo e il Cristo morto in bronzo dorato (quest'ultimo recuperato ad un'asta Christie's di Londra, ma proveniente dalla collezione romana del compianto Marc Worsdale), riconosciuti come esemplari "fuori serie" dei crocifissi ideati tra il 1657 e il 1659 da Gian Lorenzo Bernini per i corredi degli altari chigiani della basilica vaticana, e un raro bronzo dorato di un Cristo coronato di spine, giudicato un'inedita variante elaborata dal maestro e dai suoi collaboratori sul tema del crocifisso con il Cristo morto del 1657-1660.
Ricordo infine la rara e ben conservata terracotta raffigurante la Vergine con il Bambino e santa Martina che Jennifer Montagu ha avuto la possibilità di studiare e presentare nel 1997 come modello per uno dei rilevi in alabastro del ciborio dell'altare nella cripta della chiesa romana dei Santi Luca e Martina, eseguito da Cosimo Fancelli su disegno di Pietro da Cortona 19.
Come ha generosamente suggerito Francesca Martinelli, il medaglione in bronzo dorato con il profilo di papa Altieri, attribuito da Eleonora Villa a Gian Lorenzo Bernini e Gerolamo Lucenti, e il modello di Cosimo Fancelli e Pietro da Cortona si uniranno al primo importante nucleo della donazione Martinelli come deposito al Museo del Palazzo della Penna.
Quasi a voler delineare in nuce i futuri percorsi di ricerca intorno alle opere della sua raccolta non ancora rese note, ma già da tempo desti nate ad essere presentate al meglio all'interno di una collezione pubblica, il professor Martinelli aveva raccolto nei suoi dossier, ove possibile, documenti riguardanti la provenienza, l'acquisto, le relazioni di restauro e la relativa documentazione fotografica, articoli, fotografie di confronto, expertises richiesti a noti specialisti italiani e stranieri, appunti riguardanti conversazioni avute con studiosi o sue brevi considerazioni critiche. In ultimo aveva redatto per ciascuna opera delle essenziali schede di riferimento, chiaramente destinate ad accompagnare la sua donazione.
Esemplare, in proposito, il caso dell'inedito bozzetto in terracotta per il Monumento equestre a Luigi XIV (fig. 8), di più recente acquisizione, presentato al pubblico per la prima volta nel presente catalogo. Attribuito da Valentino Martinelli a Gian Lorenzo Bernini nella scheda di riferimento della sua collezione, era stato sottoposto ai primi degli anni Novanta a due ravvicinate campagne di restauro che non avevano, a suo giudizio, risolto a pieno alcuni dubbi sulla corretta riproposizione di alcuni frammenti. Nel contempo aveva raccolto nel suo dossier una notevole quantità di materiale storico-critico e un'ottima documentazione fotografica, ma l’opera era ancora al centro delle sue riflessioni - come mi ha confermato la moglie Francesca - e queste ultime non erano giunte a quell’esemplare grado di completezza che esigeva dai suoi scritti.
Questo materiale, pazientemente raccolto negli anni, risulta oggi di fondamentale importanza per chiunque si accinga alla non facile impresa di studiare le opere della sua collezione e prefigura, al tempo stesso, il modello ideale di documentazione che ogni opera conservata in un Museo dovrebbe avere.
A questa sistematica raccolta di notizie documentarie (che farebbe la felicità di qualsiasi giovane conservatore di Museo), Valentino Martinelli ha voluto generosamente unire la sua biblioteca, ricca di centinaia di titoli di monografie, riviste e cataloghi di mostre, alla quale ci auguriamo possa presto unirsi la sua fototeca specializzata (si tratta di centinaia di fotografie di opere note o inedite, dietro le quali sono spesso appuntati a matita commenti e notizie critiche di suo pugno).
Anche il generoso dono della biblioteca è una precisa indicazione di metodo per l'impostazione del nuovo Museo Martinelli che i futuri conservatori sapranno valorizzare al meglio.
Il Museo è infatti, nella sua migliore proposizione, un organismo vitale, un luogo di tutela e valorizzazione delle opere esposte, ma anche di studio, in piena comunicazione con gli altri Musei, con 1’Università e i centri della ricerca internazionali. Insieme alle opere, presentate al pubblico in un percorso espositivo che ne faciliti la lettura critica e l'apprezzamento, il Museo dovrà rendere pienamente fruibile il suo archivio documentario, la sua biblioteca e, in un prossimo futuro, la ricchissima fototeca, e divenire un luogo ideale dove le nuove generazioni di studiosi si potranno formare.
È in questo compiuto contesto metodologico delineato nelle sue disposizioni testamentarie che acquista un preciso significato la borsa di studio annuale destinata da Valentino Martinelli ai giovani ricercatori che vorranno approfondire temi legati all’arte barocca. Un modo speciale per invitare i più giovani a intraprendere la strada dell'impegno intellettuale e della ricerca nel campo della storia dell’arte perché ne facciano, a loro volta, ragione di vita, a garanzia della trasmissione al futuro del nostro patrimonio artistico.

Nel redigere le schede di catalogo delle opere di scultura della donazione Martinelli ho fatto tesoro del prezioso materiale critico, documentario e fotografico raccolto dal professor Martinelli nei dossier della sua collezione. Francesca Galante Martinelli ha facilitato in ogni modo le mie ricerche, of¬ frendomi la sua generosa ospitalità e la sua amicizia. Con grande pazienza, e per lunghi mesi, ha messo a mia piena disposizione le opere in corso di studio, dandomi un concreto aiuto per orientarmi nella vasta mole del materiale storico-critico raccolto dal marito e riordinato con competenza anche grazie al suo impegno. Da molte nostre conversazioni e da suoi ricordi ho tratto spunti fondamentali per il mio lavoro. Devo molto anche alle conversazioni avute con Carlo Stefano Salerno, che qui ringrazio per la generosità e liberalità con le quali ha condiviso le sue esperienze di restauratore e storico dell'arte. Alfredo Marchionne Gunter mi ha agevolato nella ricerca di articoli e testi della biblioteca Martinelli. Daniela Gallavotti Cavaliere e Francesco Federico Mancini, con competenza, impegno e passione, hanno reso possibile la realizzazione di questo volume.

Note
1 M. Fagiolo dell'Arco, Un secolo di studi, in M. Fagiolo dell'Arco
O. Ferrari, La scultura barocca: introduzione, in "Storia dell’Arte", 90, 1997, pp. 147-150, in part. pp. 148-150.
2 V. Martinelli, Alcune opere inedite di Francesco Mochi in "Arti Figurative", II, 1946, 1-2, pp. 72-77; Idem, Contributi allu scultura del Seicento, I. Francesco Mochi a Roma, in "Commentari", II, 1951, pp. 224-235; Idem, Contributi alla scultura del Seicento. II. Francesco Mochi a Piacenza, in " Commentari", III, 1952, pp. 35-43.
3 V. Martinelli, Alcune opere inedite di Francesco Mochi, in "Arti Figurative", li, 1946, 1-2, pp. 72-77; P. Della Pergola, Per Francesco Mochi, in "Arti Figurative", 11, 1946, l-2,pp. 78-80.
4 I. Lavin, Duiquesnoy's "Nano di Crequì" and Two Busts by Francesco Mochi, in 'The Art Bullettin", LI1, 1970, pp. 132-149; M. De Luca Savelli, Busto di Antonio Barberini, in Francesco Mochi 1580-1654, ca¬ talogo della mostra, a cura di M. Gregori, Firenze 1981,cat. n.21,pp. 77-78.
5 Per il Battesimo di Cristo si rimanda a V. Martinelli, Un capolavoro recuperato: il Battesimo dii Cristo dì Francesco Mochi, in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", III, 1956, pp. 48-59; per un profilo del suo contributo alla valorizzazione di opere sotto la tutela della Sovraintendenza al Comu- ne di Roma si veda E.B. Di Gioia, Ricordo di Valentino Martinelli, in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", n.s., 2000, pp. 140-145; per le opere di Francesco Mochi al Museo di Roma si rimanda a E.B. Di Gioia, Le collezioni di scultura del Museo di Roma. Il Seicento, Roma 2001, cat. nn. 2 e4,pp. 39-48, 62-71.
6 V Martinelli, Le pitture di Bernini, in "Commentari", 1, 1950, pp. 95-104; Idem, I disegni del Bernini, in Commentari", I, 1950, pp. 172-186, riproposti in V. Marti- nelli, Gian Lorenzo Bernini e la sua cerchia. Studi e contributi Ì950-1990, Università degli Studi di Perugia, Napoli 1994, pp. 11-46.
7 V Martinelli, Premessa. in Gian Lorenzo Bernini e la sua cerchia. Studi e contributi (1950-1990), Napoli 1994, p. 7.
8 La citazione è tratta da V. Martinelli, Bernini (I ed., Milano 1953), Milano 1979, Premessa, pp. 7-8.
9 M. e M. Fagiolo dell’Arco, Bernini, Una introduzione al "gran teatro del Barocco ", Roma 1967; M. Fagiolo dell’Arco - S. Carandini, L'Effimero Barocco. Struttura della festa nella Roma del Seicento, voll. I-II. Roma 1977-1978; M. Fagiolo dell’Arco, Bibliografia della festa Barocca a Roma, Roma 1994; M. Fagiolo dell’Arco, Corpus delle feste a Roma. I. La festa barocca. Roma 1997, M. Fagiolo (a cura di). La festa a Roma dal Rinascimento al 1870. Atlante, cata- logo della mostra, voll.1-11, Roma 1997.
10 La citazione è tratta da V Martinelli. Bernini, I ed., Milano 1953, p. 10.
11 V Martinelli, Pietro Bernini e figli, in "Commentari", IV, 1953,pp. 133-154; Idem,
Capolavori noti ed ignoti del Bernini: i ritratti dei Barberini, di Innocenzo X e di Alessandro VII, in "Studi Romani", III, 1, 1955, pp. 32-52; Idem, I busti berniani di Paolo V, Gregorio XV e Clemente X, in "Studi Romani, III, 6, 1955, pp. 647-666; Idem, Il busto di Urbano VIII nel Duomo di Spoleto, in "Spoletium", I-II, 1954-1955, pp. 43-49; Idem, Novità berniniane: 1. Un busto ritro¬ vato: la madre di Urbano VIII; 2. Un Crocifisso ritrovato?,in "Commentari" VII, 1956, pp. 23-40 (riproposti in Martinelli, 1994, pp. 79-159); V Martinelli, I ritratti di pontefici di Gian Lorenzo Bernini, Roma 1956.
12 Per le sculture citate si vedano: O. Ferrari - S. Papaldo, Le Sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, pp. 492-493, 494, 497; O. Ferrari, in M. Fagiolo dell'Arco - M.G. Bernardini (a cura di), Gian Lorenzo Bernini regista del Barocco, catalogo della mostra, Ginevra-Milano 1999, cat. n. 56, pp. 541-542; F. Petrucci, ivi, cat. n. 60, pp. 345-346, con bibliografia precedente.
13 Per il suo apporto alla storia dell'arte contemporanea e alla critica d'arte si rimanda al contributo di Daniela Gallavotti Cavallero nel presente volume.
14 I contributi citati sono presen-tati in ordine cronologico: V. Martinelli, Due modelli di Camillo Rusconi ritrovati, in "Commentari", IV, 1953, pp. 231-241; Idem, Una scultura di Federico Zuccari, in "Capitolium", XXIX, 1954, pp. 39-46; Idem, Flaminio Vacca scultore e antiquario romano, in "Studi Romani", II, 1954, pp. 154-164; V. Martinelli - C. Pietrangeli, Cataloghi dei Musei Comunali, La Protomoteca Capitolina, Roma 1955; V Martinelli, Le prime sculture di Camillo Mariani a Roma, in "Atti del XVIII Congresso di Storia dell'Arte di Venezia", 1955, Venezia 1957, pp. 309-311 ; Idem, Cristoforo Stati e il gruppo di "Venere e Adone", in "Rivista d'Arte", IX, 1958, pp. 3-24; Idem, La scultura in Italia, in Il Seicento Europeo, catalogo della mostra, Roma 1956, pp. 51-59, 246-276; Idem, Settecento inedito: un modello di An- gelo de ' Rossi per la statua di Alessandro VIII Ottoboni in S. Pietro, in "Studi Roma ni", VII, 1959, pp. 429-437; Idem, Contributi alla scultura del Seicento: Andrea Bolgi a Roma e a Napoli, in "Commentari", X,
1959, pp. 137-158; Idem, Un modello dì creta" di Francesco Fiammingo, in "Commentari", XIII, 1962, pp. 113-120; Idem, Novità berniniane: 4. "Flora " e "Priapo"," i due termini gin nella Villa Borghese a Roma, in "Commentari", XIII, 1962, pp. 267- 228; Idem, Un 'opera di Domenico Pieratti nel Palazzo Barberini a Roma, in Scritti in onore di Mario Salmi, III, Roma 1963, pp. 263-273; Idem, Scultura italiana dal Ma- nierismo al Rococò, Milano 1968; Idem, I Un bozzetto in terracotta di Filippo della| Valle per una statua di Clemente XII Corsini, in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma", XVI, 1969, 1-4, pp. 1-12.
15 V Martinelli, Una scultura inedita del•|| Bernini: un "Christo ligato " di creta cotta, in Gian Lorenzo Bernini e le arti visive, atti del convegno, a cura di M. Fagiolo, Roma 1987, pp. 91-112; per l’opera si rimanda nel presente catalogo alla scheda n. 17.
16 C.S. Salerno, "Cartapeste d'autore" berniniane e algardiane. Contributo (alla storia, alla tecnica e al restauro della cartapesta nelle botteghe rinascimentali e barocche, in "Bollettino d'Arte", 99, 1997, pp. 67-98; per le cartapeste citate si vedano nel presente catalogo il saggio di Salerno e le schede nn. 16 e 21.
17 E. Villa, Un episodio sconosciuto della ritrattistica dei '600: Clemente X, Bernini,Gaulli e altre novità sulla committenza Rospigliosi, Altieri e Odescalchi, in V. Marti- nelli (a cura di), L'ultimo Bernini, 1665-16SO. Nuovi argomenti, documenti e immagini. Roma 1996, pp. 139-159; si vedano ancora nel presente catalogo le osservazioni di Salerno alle pp. 51 e ss. e le schede nn,'104-105.;
18 V Martinelli, L'ultimo crocifisso del Bernini, in V Martinelli (a cura di), L'ultimo Bernini, 1665-1680. Nuovi argomenti, documenti e immagini, Roma 1996, pp. 163- 179; Idem, La "Imago Chrisfi" secondo Bernini. Costanti e varianti tipologiche e formali, ivi, pp. 182-231.
19 J. Montagu, in Pietro da Cortona. 1597- 1669, catalogo della mostra, a cura di A. Lo Bianco, Milano 1997, n. 97, p. 441 e ivi bibliografia precedente; O. Ferrari - S. Papaldo, Le Sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, pp. 192-193; si veda ancora nel presente catalogo la scheda n. 20.